PALERMO, 23 GENNAIO 2013 – La comunicazione non è una cosa semplice. Ogni giorno parliamo, discutiamo, chiacchieriamo, e poi twittiamo, commentiamo, postiamo con la stessa naturalezza con la quale respiriamo. Ma, ogni tanto, magari in silenzio, fermiamoci un attimo a pensare che le parole non sono un semplice suono o un disegno sullo schermo. Le parole hanno un significato. Ognuna ce l’ha. Sceglierle tenendolo presente è un dovere. Di tutti.
Certo un lapsus, può capitare. Un momento di incertezza anche. Ma perseverare in certi usi sbagliati e sgradevoli può alla lunga diventare di cattivo gusto. Come spesso accade i più chiacchieroni sono i politici, più o meno di lungo corso, oggi impegnati in una campagna elettorale combattuta su tutti i mezzi di informazione. Senza veli, senza censure, purtroppo a volte senza nessuno dietro che sussurri “forse questa era meglio evitarla”.
Non vogliamo fare nomi, non vogliamo puntare il dito, o prendere posizioni. Anzi una si: potreste tentare un uso più appropriato delle metafore? Gli esempi, o gli insulti, possono essere scelti all’interno di un ampio bacino linguistico che per fortuna la nostra lingua fornisce, basterebbe un pizzico di fantasia o magari un ripassino. E per essere sul pezzo, anche giocare a Ruzzle potrebbe aiutare, dato che attinge direttamente dal dizionario Zingarelli.
In ogni caso lasciare da parte malattie gravi e relative cure sembra il minimo dell’accortezza linguistica ed anche etica.
Per tutti quelli che lasciano commenti: siamo dalla vostra parte, ma con una precisazione. Ci sentiamo più vicini a chi, per le avverse vicende del destino, può realmente essere offeso da questi sproloqui. E preferiamo non considerare chi sta in rete solo per smania di esserci e pensa che l’unico mondo vivibile sia quello virtuale.
E a tutti coloro che soffrono in silenzio, lontani dagli schermi, dai microfoni, dai riflettori, e che con il loro messaggio silenzioso lasciano il commento più forte, diciamo solo grazie.