PALERMO, 12 GENNAIO 2012 – La violenza di genere è un argomento di cui si continua a discutere prendendo spunto dalla cronaca che continuamente registra, e qualche volta “strilla”, nuovi episodi di violenza a danno delle donne. Una violenza che colpisce quasi esclusivamente tra le mura domestiche, nel luogo che si ritiene più sicuro e conosciuto, ma che spesso cela un malessere che facilmente degenera. Quello che le donne devono imparare a riconoscere sono i segnali di una comportamento intrusivo, spesso sottovalutati, capendo che è loro diritto dire “no”, scegliendo di salvaguardare la loro vita e, in molti casi, quella dei loro figli.
A discuterne sono state sette donne, ognuna con un profilo e una storia diversa, ma ognuna con un attenzione particolare al problema della violenza di genere, visto e discusso da prospettive differenti. Come sempre la prima cosa analizzata sono stati i numeri. Nel 2012 sono state uccise 125 donne. Di queste, sette su dieci, in ambito familiare, a casa, o comunque in un luogo che ritenevano sicuro, nel quale si sentivano protette e mai avrebbero pensato di poter perdere la vita.
Maria Grazia Patronaggio, dell’associazione Le Onde onlus, ha lamentato come in realtà di dati ce ne siano davvero pochi. Gli unici di cui si dispone sono il frutto dell’attento lavoro svolto dai centri anti-violenza, perché l’ultimo rapporto ISTAT in merito risale al 2006. I rapporti del 2012 ancora non sono stati terminati ma è possibile fare delle considerazioni sui numeri dell’anno precedente. Nel 2011 in Italia sono state uccise 120 donne: di queste solo 4 da uno sconosciuto. Il vero problema della violenza di genere è da rintracciare tra le mura domestiche. E spesso non è un raptus, un gesto di gelosia, come facilmente vengono etichettati certi delitti, ma il frutto di una violenza sordida, continua, più o meno latente che si è progressivamente alimentata.
Quello che è emerso durante la conferenza al Maria Adelaide è che le donne devono imparare a riconoscere i segnali della violenza e dello stalking, perché molto spesso non si rendono conto, o non vogliono farlo, che qualcuno sta ledendo i loro diritti. Il magistrato Annamaria Picozzi ha dato il suo contributo giuridico parlando della legge sullo stalking e delle novità apportate dal legislatore. Una su tutte, “la tutela della libertà morale di ogni donna, del loro diritto di non iniziare una relazione sentimentale o di interromperla”. Il magistrato ha puntato il dito su quello che significa stalking, sull’atto persecutorio che vuol dire “imporre la propria presenza nella vita di un’altra persona”, intromettersi nell’organizzazione della vita di una donna. La natura intrusiva di una persona è il campanello d’allarme di una possibile violenza.
Il vicequestore aggiunto Rosaria Maida ha ricordato che è stato introdotto anche un procedimento di tipo amministrativo che è l’ammonimento, attraverso il quale si può chiedere la cessazione dell’attività di persecuzione, basta dettagliare la richiesta di aiuto alle forze dell’ordine e magari portare a supporto anche delle testimonianze. Se un soggetto ammonito reitera i suoi comportamenti verrà avviato un procedimento di tipo penale. Il vicequestore ha parlato delle donne che ha incontrato e aiutato, di come molto spesso “non si denuncia per paura e per sfiducia nelle lungaggini istituzionali”. Quello su cui ha mosso delle accuse sono stati i tempi dei tribunali quando si tratta di separazione, specie in presenza di minori. Una donna, durante un procedimento di questo tipo, non può essere costretta ad aspettare a lungo che un giudice decida perché rischia insieme a i suoi figli di essere vittima di violenza e di persecuzione da parte dell’ex che non si rassegna.
L’avvocato Elvira Rotigliano, ha invece ribadito con forza che le donne non devono pensare che denunciare o rivolgersi a un avvocato è una cosa che “non possono permettersi” perché per determinati reati esiste la possibilità di essere assistite gratuitamente e di essere indirizzate verso i centri anti-violenza per un’assistenza attenta e completa.
In chiusura, Mavi Tumminello, presidente di Emily e la parlamentare Alessandra Siragusa, hanno sottolineato come e quanto sia importante la sensibilizzazione del problema nelle scuole, tra i ragazzi, perché la violenza è molto spesso legata a un fattore culturale che deve essere superata già da piccoli.