BARCELLONA POZZO DI GOTTO (ME), 8 GENNAIO 2013 – Alle celebrazioni in memoria di Beppe Alfano, in corso a Barcellona Pozzo di Gotto, il giornalista Roberto Saviano interviene con un messaggio in cui ricorda la figura del giornalista ucciso vent’anni fa dalla mafia. Riportiamo di seguito il testo integrale della lettera.
Quando la famiglia Alfano mi ha chiesto di intervenire al XX anniversario della morte di Beppe ho provato un senso di inadeguatezza. Come se fosse ormai cosa ordinaria parlare di stragi e morti, come se fosse ormai introiettata l’impossibilità di avere una giustizia vera. Tutto normale, ci sono i criminali e ci sono le persone che vivono sotto protezione. Tutto ormai normale. Come normali sembrano ormai i venti anni trascorsi dalla morte di Beppe, venti anni in cui la famiglia Alfano è riuscita ad avere una giustizia solo parziale per un omicidio che ha sconvolto le loro esistenze.
Venti anni in cui la famiglia Alfano è stata troppo spesso lasciata sola. Beppe Alfano nel momento esatto della sua morte, ha smesso di essere Beppe ed è diventato un simbolo. E i simboli solo apparentemente ricevono consenso, rispetto, ossequio. Il simbolo in realtà ben presto diventa un peso che in pochi sono in grado di sostenere. Il simbolo deve stare lì, immobile, in una teca a prendere polvere: che gli anni ne offuschino il ricordo, che rendano indistinti meriti e fragilità umane. Il simbolo si rispetta, ma va liquidato, risolto, va neutralizzato perché tutti si sentano a posto, perché nessuno possa dire io potevo fare e non ho fatto. Io potrei fare e non faccio. E due sole persone in carcere, in venti anni di indagini per l’omicidio di Beppe, è tutto sommato un prezzo esiguo che la mafia ha dovuto pagare per togliere di mezzo chi rischiava di mandare a monte un ingranaggio che stava funzionando a perfezione.
Alfano stava facendo saltare i meccanismi: era necessario sacrificare un uomo, un “visionario” convinto che a Barcellona Pozzo di Gotto, patria della mafia messinese, una mafia tonta, come si preferiva credere, si nascondesse addirittura il boss dei boss, Nitto Santapaola. E dopo la morte, come ha più volte denunciato Sonia Alfano, la solita, consueta, vergognosa diffamazione. I soliti tentativi di screditare il lavoro e la reputazione di una persona coraggiosa che ha voluto fare il suo dovere senza temerne le conseguenze. Morto per ragioni passionali, per pedofilia: Beppe insegnava educazione tecnica alla scuola media, quale migliore occasione per macchiare la sua rispettabilità. Ma se questo schifo non è riuscito a mortificarne le doti, è vero anche che l’indignazione per la sua morte è durata poche settimane. Come quella per la morte di Pippo Fava o di Mauro Rostagno. Tutto come prima. Solo una vittima in più.
Ecco perché queste due giornate di commemorazione, di ricordo e di confronto sono fondamentali, necessarie. L’intervento degli organismi nazionali e internazionali impegnati nel contrasto alle mafie è fondamentale perché si crei una piattaforma mondiale condivisa di contrasto alla criminalità organizzata. Perché noi italiani, nonostante ci vogliano far credere che parlare di mafie significhi diffamare il nostro paese, in questo possiamo davvero essere utili al resto del mondo. E poi sarà fondamentale incontrare gli studenti: è dalle scuole che bisogna partire. È da lì che la cultura della legalità va insegnata e appresa. Ma una cultura della legalità che superi le differenze, che superi i colori politici, che non guardi e non miri a interessi personali, di parte. L’antimafia può essere un balsamo, ma può essere anche un grande alibi. Beppe Alfano ha fatto antimafia nel modo più alto. Ha fatto antimafia come metodo per aggiustare ciò che vedeva intorno a sé non funzionare. Un metodo artigianale, quasi, di stare nel mondo. Se questo sarà anche il nostro obiettivo, Beppe non si sarà sacrificato invano.
Roberto Saviano