La partita di Miccichè

di Redazione

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La partita di Miccichè

| venerdì 04 Gennaio 2013 - 11:47

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PALERMO, 4 GENNAIO 2013 – Conosce la campagna elettorale come pochi, ne annusa il clima, sa valutarne le opportunità. Se la politica si racchiudesse nel periodo che precede il voto Gianfranco Miccichè sarebbe in Italia l’indiscusso numero 1. Il risultato sopra ogni cosa, come il Trapattoni dei tempi d’oro, paragone che, per uno che ha litigato con Berlusconi anteponendogli la fede juventina, gli sarà particolarmente gradito. 

Il 61 a 0 è un marchio indelebile, e poi la scelta di Cammarata per disarcionare il candidato a sindaco Musotto, l’opzione Cuffaro per ridurre le velleità di Orlando nel 2001: tutti giochi di prestigio di grande impatto. Magari discutibili gli effetti, ma la regia è stata sempre d’autore.

Oggi Miccichè gioca la partita più difficile per salvare il suo nome (e cosa non marginale, il posto in Parlamento), per garantire la sopravvivenza della sua fedelissima pattuglia di palermitani che l’ha seguito nella perigliosa fase post Pdl, per assestare il colpo finale alla già precaria leadership di Alfano. Tutti obiettivi in rigoroso ordine di priorità. E riabbraccia, riabbracciato, Berlusconi. Senza timore di critica e senza cancellare dalla sua memoria – e da quella collettiva – le invettive contro l’ex premier, sale e pepe della sua ultima e poco fortunata campagna elettorale, quella, per restare in tema, del rinnovato patto di sangue con Lombardo, incensato e ripudiato a giorni alterni. C’è chi lo chiama cinismo, chi invece visione strategica, versione sintetica di sentimenti ancora più forti: odio e amore.

Gioca la partita più importante anche perché questa volta si presenta da leader di partito, fottendosene dei veti di marca Pdl e del montante (e coerente) dissenso interno. Sa che la Sicilia potrà essere ancora determinante per il risultato nazionale come tutte le precedenti volte in cui Berlusconi ha vinto. Oggi – è il segno dei tempi – vincere significa pareggiare, impedire cioè al Pd di sommare alla prevista conquista della Camera anche quella del Senato. E nel contempo portare in Parlamento gli uomini di tutte le micro realtà del meridione raggruppate nel suo Grande Sud. Nella logica mai sopita del manager, si dice che voglia ottimizzare le risorse della destra, in un Paese tendenzialmente di destra, in una regione assolutamente di destra che ha la testa a destra anche quando vota a sinistra. Se vince (o meglio se pareggia) sarà così. Male che vada avrà rappresentato per gli uomini della sua parte quell’ammortizzatore sociale – sotto forma di seggio parlamentare – che, come noi sappiamo, non si nega a nessuno.

 

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