ROMA, 4 GENNAIO 2013 – I penalisti contro i magistrati candidati. Con una nota l’Unione delle Camere Penali critica con toni molto netti il passaggio in politica di Ingroia e Grasso, definendo in modo particolare “un problema” la discesa in campo dell’ex procuratore nazionale antimafia.
I penalisti scrivono che “le candidature prevalgono sui contenuti” e che al posto di una “analisi approfondita” si ricorre al “metodo Panini, che riduce i magistrati a figurine da incollare, nel catalogo liste elettorali, alla voce giustizia”. “Se Antonio Ingroia, passato dai comizi in piazza effettuati con la toga ben salda sulle spalle, alla distorsione delle finalità proprie dell’indagine penale, trasformata in controllo etico sugli atti di governo, ha sfruttato le patologie conclamate di un sistema giudiziario che tollera i proclami da parte degli organi dell’accusa, senza alcun controllo sui criteri di esercizio dei loro poteri”.
A giudizio dei penalisti “Pietro Grasso pone problemi di non minor rilievo” perchè “la possibilità di candidare dall’oggi al domani un magistrato che fino al giorno prima ha gestito un ufficio come la Direzione Nazionale Antimafia, che ha avuto accesso ad informazioni talmente riservate da esserne inibito persino l’utilizzo processuale, che ha coordinato investigazioni su tutto il territorio nazionale in ambiti che fatalmente lambiscono anche il terreno della politica, costituisce un problema in sè e dimostra l’urgenza di disciplinare in maniera nuova e rigorosa le modalità di ingresso oltre che di uscita, dei magistrati dalle cariche elettive”.
“Limitazioni che comunque non risolverebbero del tutto il problema, atteso che – conclude la nota dell’Ucpi – il passaggio repentino dei magistrati (o sarebbe meglio dire dei pm) in politica è solo un aspetto di un problema più complessivo i cui i nodi da sciogliere riguardano il gigantismo del pm, la gestione discrezionale dell’azione penale senza alcuna verifica, la debolezza del controllo disciplinare, l’assenza di reale terzietà dei giudici”. Queste le “vere patologie del sistema, che non si risolveranno mai se il sistema politico non apre un dibattito costituente sul punto” e non comprende – concludono i penalisti – che la voce giustizia, in una agenda politica seria, coincide con la voce democrazia”.