La dottoressa D’Angelo: “Doppi sensi e riferimenti sessuali, ecco il linguaggio del molestatore”

di Redazione

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La dottoressa D’Angelo: “Doppi sensi e riferimenti sessuali, ecco il linguaggio del molestatore”

| martedì 11 Dicembre 2012 - 14:28

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PALERMO, 11 DICEMBRE – “La molestia sessuale è un problema quasi esclusivamente declinato al femminile. Però attenzione a non confondere la molestia con il mobbing e gli altri problemi connessi al mondo del lavoro. Tra molestia e mobbing la differenza è netta, la prima presuppone un avvicinamento, il secondo un allontanamento. Se la molestia fallisce è probabile che scatti il desiderio di determinare l’allontanamento della vittima con ogni mezzo. E in questo caso che spesso, attraverso atti intimidatori e vessatori, la molestata diventa mobbizzata”.

 

Franca D’Angelo, responsabile dell’Unità Operativa complessa di Psicologia dell’Asp di Palermo, dal suo osservatorio professionale sottolinea le differenze tra due fenomeni sempre più diffusi sui luoghi di lavoro e rivela che si è ancora lontani dall’identificare il fenomeno sotto il profilo statistico.

“Il dato che risulta a noi fa riferimento all’emersione dal problema ed è quindi parziale rispetto al fenomeno che sappiamo essere assai più rilevante. Non tutti i casi di molestia finiscono in tribunale – anzi una minima parte di essi – come non tutti si rivolgono al servizio pubblico per il necessario sostegno. La nostra unità è stata creata nel 2003 per affrontare il fenomeno del mobbing, oggi è necessario allargare il campo anche ad altri casi legati al mondo del lavoro perché la difficoltà di trovare lavoro e mantenerlo fa nascere nuove forme di aggressività”.

I comportamenti provocanti e allusivi sono i presupposti per configurare la molestia che, proprio per la soggettività percettiva non sempre è facile definire e ancora più difficile perseguire.
“L’allusione è giocata sui doppi sensi e su discorsi in cui è palese il riferimento sessuale, per cui sarebbe anche individuabile. Il problema è che chi allude si lascia sempre una via di fuga, il “non hai capito o hai capito male” è la regola prima. Un comportamento che, fra l’altro, disorienta e delegittima chi subisce la molestia. Il molestatore in genere non agisce in pubblico e quindi anche quando la vittima si decide a chiedere aiuto si trova nella situazione classica “della mia parola contro la tua”. Certo, trovarsi un mazzo di rose sul tavolo non costituisce una molestia, diverso sarebbe un mazzo di rose al giorno e senza sapere se il gesto è gradito. È il livello ossessivo che modifica il senso di un’azione, la violenza che si configura come mancanza di rispetto dell’identità personale”.

Il mobbing è il secondo atto della molestia? “Si tratta di forme di violenza psicologica in entrambi i casi, questo è il denominatore comune, ma sono diversi i registri con cui viene esercitata. Il mobbing ha come presupposto l’allontanamento della vittima”.

Qual è la percentuale di mobbing preceduto da molestia? ” Non si può fare una statistica precisa – conclude Franca D’Angelo – diciamo che si può aggirare attorno al 15% sommando i casi certi a quella parte che tende a non dirlo ma che è rilevabile dal terapeuta”.

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