Hotel Transylvania potrebbe tranquillamente intitolarsi “Non è un altro stupido film d’animazione 3D americano”, tanto per parafrasare una famosa pellicola di qualche anno addietro. Questo perché è essenzialmente un film d’autore, nel senso più autentico possibile, in un genere che ha saputo costruirsi negli anni la sua (immensa) fetta di pubblico su scala mondiale.
Questo grazie soprattutto alla Pixar, che ha conferito all’animazione tridimensionale la “simpatia” e la “morbidezza” tipica dei classici bidimensionali. Pensate ad esempio quanta distanza ci sia tra “Final Fantasy”, lungometraggio giapponese del 2001 che esibisce una veste fredda e realistica, rispetto a un classico come “Alla ricerca di Nemo”, film Pixar del 2003. Due lungometraggi di successo che interpretano in modo totalmente diverso questa forma espressiva. Hotel Transylvania si iscrive a pieno titolo nella seconda tipologia ed è supportato, come già accennato, da una regia d’autore: quella del grande Genndy Tartakovsky.
L’autore russo, classe ’70, ha saputo stupire gli appassionati grazie a opere televisive di indubbio valore, come Il laboratorio di Dexter, Samurai Jack e Clone Wars. I lavori di Tartakovsky, resi celebri dai passaggi su Cartoon Network, presentano diversi marchi di fabbrica: l’eleganza, l’essenzialità e un gran ritmo uniti a un incredibile istinto per l’inquadratura, mai banale o scontata. Hotel Transylvania rappresenta dunque la consacrazione di un regista ormai affermato nell’ambito televisivo che tenta il passaggio cruciale verso la settima arte, con risultati più che convincenti.
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Dal punto di vista tecnico il film (prodotto dalla Sony Pictures) è ineccepibile. Il 3D è gradevole e si presenta in un’intrigante duplice dimensione in cui coesistono la morbidezza dei personaggi e la solennità delle scenografie, con risultati un po’ stranianti ma dall’indubbio fascino. È inoltre costellato di presenze mostruosamente adorabili che si esibiscono in gag a ritmo serrato senza che si perda mai di vista il filo conduttore, esilarante e romantico al contempo.
La storia di Hotel Transylvania non difetta certo in originalità. Dracula vuole festeggiare i 118 anni della figlioletta che ha ormai raggiunto la maggiore età (!) e organizza una festa nel suo residence “human-free”, dove accorrono mostri di ogni specie (da licantropi alla creatura di Frankenstein, tutte prese di peso dai classici Hammer) lontani dalla minaccia peggiore in assoluto: l’essere umano. Caso vuole però che un giovane sprovveduto capiti nella magione del Conte e si ritrovi nel bel mezzo della festa. Verrà prontamente camuffato per evitare che il panico si diffonda, ma le cose si complicano quando la figlia inizia a interessarsi allo straniero.
Tartakovsky si scatena così in un gioco di citazioni, sfruttando al meglio la scelta di utilizzare i personaggi chiave del cinema horror di un tempo. I leit-motiv dell’opera, l’integrazione del diverso e l’emancipazione post-adolescenziale vengono sapientemente miscelati alla farsa, un po’ alla Tim Burton, il quale ama rivestire l’horror di una patina “carnevalesca” (vedi Beetlejuice o Dark Shadows).
La sceneggiatura (firmata da Peter Baynham e Robert Smigel) è strutturata in modo tale da coinvolgere sia i più giovani che gli adulti. Uno spettacolo di qualità elevata dunque che, pur inserendosi nell’alveo dei film ultra leggeri, non mancherà certo di sorprendervi con la sua delicatezza.