PALERMO – Sono ancora fra i banchi per cercare di costruirsi un futuro ma si sentono già disoccupati, proprio come gli operai della Gesip che arrivano in mezzo al loro corteo a bordo di una Ape con tanto di cassa da morto. Gli studenti di Palermo chiudono un’altra settimana di mobilitazione con un grande corteo che è partito da piazza Verdi.
Ragazzi arrabbiati e gioiosi che, al di là di timidezze e normali ingenuità hanno le idee ben chiare. “Ormai la scuola pubblica sta diventando una scuola a pagamento – urla una ragazza – e per giunta con aule che cadono a pezzi, meno mezzi, meno diritto allo studio per tutti”.
Indicare contro chi protestano è facilissimo: i politici senza esclusione di sorta. “Non ci rappresenta nessuno” urlano davanti ai “palazzi del potere”. E soprattutto il Governo Monti. Ma anche le proposte non mancano: “riduciamo i costi della politica, vadano a casa loro, le loro auto blù, i loro stipendi. E con questi soldi fateci studiare. Fra dieci anni ce ne occuperemo noi dell’Italia”. Gli slogan sono tanti, gli studenti anche.
“Abbiamo scuole che rischiano di crollarci in testa – dicono le ragazze del Liceo Artistico – mentre si sprecano soldi per tante cose inutili”. Ma le frasi ricorrenti e gli sguardi di questi ragazzi allegri e colorati sono soprattutto puntati sulla mancanza di un futuro. Si sentono derubati dei loro sogni quando ancora non sono neanche ben chiari. E se non sogni la fatica di crescere e studiare diventa immane: “Vogliamo studiare meglio – spiega un ragazzo riccioluto – ma vogliamo anche avere possibilità nel nostro futuro”.
Il corteo parte dal teatro Massimo, attraversa il sit-in della Gesip fra i reciproci appalusi. Le forze dell’ordine assistono serene e anche gli uomini della Digos guardano con tenerezza e simpatia i coetanei dei loro figli sfilare.
Arrabbiati e gioiosi. Tutti abbiamo il dovere di farli crescere così. Non soltanto arrabbiati.