Marzo 1944, Fiume. È sera. In casa, ci sono due bambine. C’è la loro mamma e c’è la loro nonna. Le piccole stanno già dormendo. Qualcosa, però, le sveglia. È un rumore, forte, assordante. Un rumore che cambierà per sempre le loro vite. La mamma entra in camera, veste in fretta le figlie. In soggiorno c’è confusione. Ci sono i soldati. Ci sono i nazisti. La nonna Rosa è in ginocchio, piange, disperata. Si aggrappa alle uniformi. Implora i soldati di prendere lei, di lasciare stare le bambine. Ma è inutile.
Maggio 2018, Palermo. Anche qui ci sono i bambini. L’auditorium del Centro Padre Nostro di Brancaccio è pieno. Sono tutti assorti, tutti concentrati. Non vogliono perdere un attimo della storia di quelle due bambine raccontate dal primo cartone animato dedicato ad Auschwitz. In prima fila, poi, ci sono loro, le piccole. Sono Andra e Tatiana Bucci. E non sono più tanto piccole come quella notte di marzo. La minore ha 79 anni e i capelli bianchissimi. Sua sorella, invece, di anni ne ha 81. Eppure, sembrano coetanee, quasi gemelle. Ed è grazie alla loro somiglianza che quelle due bambine, oggi nonne, sono sopravvissute ad Auschwitz.
Andra e Tatiana ci accolgono, commosse, nel Centro fondato da Padre Puglisi. Sorridono emozionate, quando ci dicono di essere tra le pochissime superstiti dei campi di sterminio ancora in vita. Sorridono, ancora, perché si ritengono fortunate di poter tramandare la loro testimonianza. Andra e Tatiana sorridono, perché sono memoria vivente.
I ricordi di Auschwitz e le generazioni: Tati e Andra figlie, madri e nonne
C’è la neve a Fiume. E c’è la neve ad Auschwitz. Come quella notte di marzo, tremenda, terribile, indelebile. “Che succede, mamma?” Chiede, spaventata, una delle piccole. In casa, i nazisti sono già entrati. “Non lo so”, risponde Mira Perlow, la madre di Tati e Andra. E anche noi vorremmo poter rispondere così, come quella donna incredula. Ma noi, invece, sappiamo cos’è successo dopo. E abbiamo il dovere di parlarne. Come Tatiana e Andra che non hanno mai abbandonato la loro missione.
Ridono, le sorelle Bucci, quando chiediamo loro se hanno la stessa età di quella nonna che voleva sacrificarsi per tutti. “Molto di più”, rispondono in coro. Andra è commossa. “Ricordare la nonna mi fa sempre lo stesso effetto”, afferma, asciugandosi una lacrima. Poi, ci parla della mamma. Ci dice che sua sorella, Tatiana, ha capito cosa abbia potuto provare Mira, la madre delle bambine, quando l’inferno di Auschwitz è iniziato. Lei, invece, Andra ha compreso l’immensità di quella sofferenza quando sua figlia ha compiuto quattro anni. Ha rivisto sé stessa nella sua creatura, ha rivisto sua madre in sé stessa. Anche quella figlia, tantissimi anni dopo, è diventata madre. “Ho pensato tanto alla nonna, quando il mio piccolo Joshua ha compiuto quattro anni”. Così ha parlato la figlia di Andra, prima distaccata, poi improvvisamente coinvolta dalla straziante storia di sua madre. Così ci parla oggi la minore delle sorelle Bucci, tessendo un intreccio di generazioni che è soprattutto un intreccio di ricordi. Perché è la memoria, la missione che oggi Tati e Andra affidano ai loro figli, ai loro nipoti. Perché abbiamo il dovere di ricordare. “Può sembrare retorico”, interviene Tatiana, la maggiore, con lo sguardo saggio e pieno di coscienza. “Ma abbiamo il dovere di ricordare perché cose queste non accadano più”. Noi, che ascoltiamo la loro testimonianza, sappiamo che c’è poco di retorico in questo monito preziosissimo, reso oggi ancora più prezioso dallo scenario di odio che assedia l’Europa e il mondo. Uno scenario che ci costringe moralmente alla riflessione.
Il monito e il messaggio delle sorelle Bucci: “Non abbiate paura degli altri, dei diversi”
È Andra, per prima, a parlarci dell’odio. L’odio che oggi (come allora) infiamma e divora il cuore di molti. Un odio sfruttato da una certa retorica politica (perché quella è davvero retorica). Un odio sfruttato per creare paura. “È questa paura che ti vogliono mettere addosso”, tuona Andra Bucci, lucidissima.
Una paura che le sorelle hanno sempre voluto contrastare. Una missione contro la paura che hanno raccolto una regista palermitana e una produttrice romana. Sono Rosalba Vitellaro e Alessandra Viola. È così che è nata ‘La stella di Andra e Tati‘ che è molto di più di un corto animato. Le immagini, proiettate oggi a Palermo, sono un dirompente monito, diretto a tutti, ma rivolto soprattutto ai bambini. A quei bambini che, un giorno, potrebbero finire sfruttati da quella famosa retorica politica per creare paura, per diffondere l’odio. Ai bambini di Brancaccio, tutti riuniti in silenzio, incantati dalla storia di Tati e Andra. Bambini come quelli, numerosissimi, che seguivano ovunque Padre Puglisi che questo Centro Padre Nostro l’ha costruito contro tutto e contro tutti. Un altro, Padre Puglisi, tra quelli che si opponevano all’odio, alla paura. Ai bambini di ogni luogo, a cui le immagini animate parleranno incessantemente. “Sarà un inizio per i ragazzi, per i bambini”, ci dice Andra e riprende: “Un inizio nel volere conoscere e nel non aver paura degli altri”. Un messaggio che si colora di speranza.
Quando la proiezione finisce, poi, una bambina si alza e corre verso le due anziane sorelle. È sicuramente meno timida dei suoi compagni. Vuole parlare, vuol far sentire a tutti la sua domanda. “È vero che siete voi due quelle della storia? È vero che questa storia è vera?” Ne ha tante di parole, questa bambina esuberante. A rispondere, in silenzio, è Tati. Le sorride, come fosse sua nonna. Scopre il braccio e lascia intravedere il suo tatuaggio. Cinque numeri impressi per sempre sulla sua pelle chiara. “Ah”, singhiozza la bambina che aveva tante parole. Adesso, non sa che altro dire.
In sala, c’è silenzio. Un silenzio di commozione, un silenzio di riflessione. Poi, scoppia l’applauso, potente, fragoroso. Come quello che ha accompagnato lo straziante finale del corto, in cui le due sorelline riabbracciavano la madre, anche lei incredibilmente sopravvissuta ad Auschwitz. Perché se la storia di Andra e Tati può essere raccontata è proprio per quel lieto fine. Quel lieto fine davanti a cui non riusciamo a trattenere le lacrime. Quel lieto fine che moltissimi altri bambini non hanno avuto.