L’America Latina è in preda ad una… “epidemia di omicidi”. Anche se vi abita solo l’8% della popolazione mondiale, un terzo degli omicidi nel mondo accade qui. Un quarto di questi omicidi avviene in soli quattro paesi: Brasile, Colombia, Venezuela e Messico. Delle 25 città più pericolose al mondo, ben 23 sono in America Latina. Ma le sole statistiche non possono descrivere la scala di questa tragedia umana.
I latinoamericani vivono di fatto in una zona di guerra di dimensione continentale e a molti di loro è negato il diritto alla vita, il diritto umano più basilare di tutti. Alcune delle storie dietro le statistiche sono state raccontate ampiamente; altre sono note soltanto alle famiglie delle vittime. L’importante giornalista messicano Javier Valdez Cardenas, per esempio, aveva appena pubblicato una storia sugli omicidi degli insegnanti nel proprio paese, quando il mese scorso è stato lui stesso assassinato nella città di Culiacan. Cardenas è il sesto giornalista ucciso in Messico dall’inizio del 2017.
Secondo la commissione nazionale messicana per i diritti umani, dal 2000 in Messico sono stati uccisi 125 giornalisti. La maggior parte delle volte le vittime non sono cittadini molto conosciuti come Cardenas. Molto più spesso sono anonimi sconosciuti come Gustavo, un commesso di negozio, diciassettenne, rimasto ucciso mentre si recava al lavoro in una favela di Rio de Janeiro, vittima di uno scontro a fuoco fra la polizia e una gang locale di narcotrafficanti. Secondo un quotidiano locale, la madre di Gustavo adesso sta seduta per ore alla porta della propria casa in compagnia del cane del figlio, aspettandone invano il ritorno.
Malgrado queste drammatiche storie personali e l’entità del massacro, questi omicidi sono raramente oggetto di dibattito pubblico nella regione, anche perché la maggior parte delle vittime sono di classe popolare: afro-brasiliani che vivono nelle favelas, giovani poveri nel Salvador e donne migranti in Messico. I loro omicidi sono ignorati dai media e dalle autorità locali e nazionali. La risposta dei politici latinoamericani al problema è stata quella di militarizzare le locali forze di polizia, cosa che ha soltanto esacerbato il dramma. Per esempio, nello stato brasiliano di Sao Paulo oggi la maggior parte delle morti violente avviene per opera della polizia. I politici non paiono avere interesse ad occuparsi dei problemi sociali che trasformano molti quartieri di città sudamericane in focolai di crimine e violenza.
Per fortuna, di fronte all’indifferenza della politica e alla cultura dell’impunità, la società civile latinoamericana sta portando avanti iniziative interessanti che mirano a rompere questo ciclo di violenza e tragici lutti. Un esempio è la campagna”Instinto de Vida”, organizzata da 30 diverse Ong e sostenuta anche dalla Chiesa Cattolica, che si pone l’ambizioso obiettivo di ridurre in 10 anni del 50% il numero di omicidi nella regione; raggiungere quest’obiettivo significherebbe salvare 350.000 vite umane. Auguriamoci, per il bene di un intero continente, che laddove politici e poliziotti hanno fallito, le organizzazioni della società civile possano avere maggiore successo.