L’attacco alla Manchester Arena, rivendicato dallo Stato Islamico, è il più sanguinoso ad aver colpito la Gran Bretagna dal 2005 e ha particolarmente scioccato l’opinione pubblica globale per la presenza di numerosi teenagers fra le vittime. Il terrorista, Salman Abedi, era recentemente rientrato in Inghilterra da un soggiorno di tre settimane in Libia, dove ora vivono i suoi genitori.
Il suo attacco è parte di un mosaico più grande che ha colpito l’Europa dal 2012. In questa nuova fase i terroristi sono personaggi a metà fra i lupi solitari e i ben organizzati affiliati ad Al Qaeda che operavano nei primi anni 2000: sono al tempo stesso ben equipaggiati e difficili da individuare. Pesa anche il fatto che spesso le intelligence europee non hanno occhi ed orecchie sul terreno in aree a forte presenza jihadista come la Siria e la Libia.
L’attacco di Manchester connette la minaccia terroristica in Gran Bretagna e le annose problematiche interne libiche. In Libia oggi ci sono tre governi rivali, mancanza di stato di diritto, corruzione, un’economia in picchiata e la presenza di milizie armate e gruppi jihadisti. La transizione post – Gheddafi, cominciata nel 2011, si è rivelata un disastro, complice il disinteresse americano ed europeo. I 32 militanti che hanno attaccato l’impianto petrolifero algerino di In Amenas nel 2013, uccidendo 40 persone, provenivano dalla Libia.
Allo stesso modo, il terrorista che ha ucciso 38 turisti sulla spiaggia di Sousse in Tunisia nel 2015, si era addestrato in un campo jihadista presso la cittadina libica di Sabrata. Fra il 2014 e il maggio del 2016, la città di Sirte, nella zona centrale della Libia, è stata un’importante base dell’Isis; anche se adesso i jihadisti sono stati cacciati da questa città dalle milizie di Misurata, l’Isis non è stato definitivamente sradicato dal paese, come documentato dall’intelligence statunitense e da quella italiana.
La crisi in Libia si sta intensificando; dal punto di vista politico, un incontro ai primi di maggio fra rappresentanti di due dei tre governi rivali, organizzato dagli Emirati Arabi Uniti, non ha portato a nessun accordo e si è concluso con un nulla di fatto. Dal punto di vista militare, continua l’escalation sul terreno: nel sud-ovest del paese, vicino la città di Sebha, una battaglia fra milizie rivali ha recentemente fatto 141 morti. Queste sono tutte ottime notizie per l’Isis. Un paese con la disoccupazione al 40% e 400.000 uomini in possesso di armi da fuoco costituisce un bacino di reclutamento ideale per i jihadisti.
Di fronte a questo scenario desolante, che può fare l’Europa? Non ci sono risposte facili a questa domanda. Di sicuro le altre capitali europee dovrebbero fare di più per sostenere gli sforzi dell’esecutivo italiano di giungere ad una almeno parziale pacificazione della Libia. A Parigi, Londra e Berlino si deve tenere a mente il fatto che, ”grazie” all’Isis, i problemi libici potrebbero diventare anche problemi nostri.