La Juventus e il suo presidente Andrea Agnelli continuano ad opporsi alle accuse della Procura Federale in merito agli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria “Alto Piemonte”, a seguito del quale la Figc ha deferito il club e i suoi dirigenti (non incriminati, però, sul piano penale).
Alcuni passaggi della memoria difensiva di 36 pagine, con la quale i legali della Juventus chiedono l’archiviazione dei deferimenti, sono stati oggi resi noti dal Corriere della Sera. Si legge: “Lo spessore criminale dei capi ultrà, interlocutori obbligati della società, ha determinato, nei dipendenti deputati a trattare con costoro, uno stato di soggezione che la relazione, pur conoscendola, ha finito col sottovalutare”.
Il club bianconero respinge l’accusa di aver favorito una “osmosi tra mondo ultrà e criminalità organizzata” e che i rapporti con la ‘ndrangheta “erano già stati esclusi dalla Autorità giudiziaria, l’avere voluto indagare, sostituendosi alla magistratura ordinaria, ha condotto gli estensori della relazione a commettere un gravissimo errore”.
Per la Juventus, aver “assecondato le richieste di biglietti emettendoli in numero superiore per interessi economici è una “ricostruzione dei fatti non aderente con quanto avvenuto”, ribadendo che l’unico obiettivo del club era “garantire l’ordine pubblico dentro al nuovo stadio”.
Dello stesso tenore anche la versione di Saverio Dominello, padre di Rocco e boss dissociatosi dalla ‘ndrangheta ascoltato in udienza preliminare del processo Alto Piemonte a Torino: “Mi dispiace che per colpa mia gli Agnelli vengano tirati in questo show mediatico. Io sono solo spazzatura”.
Dominello senior nega i legami del figlio Rocco (che avrebbe ricevuto in biglietti in quanto capo del gruppo ultras Drughi Canavese) e aggiunge: “Non voglio che questo marchio di infamia ricada sui miei figli e la mia famiglia. La ‘ndrangheta mi fa schifo. Se Rocco non fosse stato mio figlio, non sarebbe venuta fuori questa vicenda”.