Le dimissioni di Michael T. Flynn dal delicato ruolo di Consigliere Nazionale per la Sicurezza, rappresentano un duro colpo per Trump. Non è una sorpresa assoluta; la mancanza di prudenza ha contraddistinto il personaggio. Durante la campagna presidenziale, Flynn si è distinto per le sue posizioni estreme all’interno dello staff di Trump; figura controversa, anti-islamista e fautore della teoria della cospirazione islamica, durante la Convention Repubblicana si è unito alle grida della folla che invocava la galera per Hillary Clinton. Insomma, un profilo che molti non vedevano bene in un ruolo nel quale si decide di guerra e di pace con il Presidente.
Queste dimissioni danno anche un’idea del livello di conflittualità interna nello staff di Trump. La ragione fondamentale delle dimissioni, come riporta la lettera di Flynn, è il fatto di avere “inavvertitamente“ male informato il vice presidente Pence sulla natura delle sue conversazioni con l’ambasciatore russo. Pence aveva pubblicamente difeso Flynn, negando che questi avesse parlato di rimozione delle sanzioni americane alla Russia. Il Dipartimento di Giustizia aveva poi smentito il vice presidente, sulla scorta di registrazioni – legali- delle telefonate tra i due.
Molte fonti vicine all’amministrazione Trump parlano di stato di nervosismo ed elevato livello di litigiosità nello staff del Presidente. Reince Priebus, il capo dello staff del Presidente, è stato definito un ‘debole’ da Chris Ruddy, capo del network Newsmax e grande amico di Trump. Anche nella vicenda delle dimissioni di Flynn lo scollamento tra i membri dello staff è apparso evidente: lunedì il consigliere alla Casa Bianca Kellyanne Conway aveva dichiarato in televisione che il Presidente aveva “piena fiducia” in Flynn. Un’ora dopo il portavoce Sean Spicer dichiarava che “Il Presidente stava valutando la situazione”, di fatto informando sullo stato di crisi in atto.
Tornando ai rapporti con i russi, esiste un rischio per il presidente americano: che la storia possa montare al di là di queste dimissioni ed aprire le porte ad ulteriori indagini. E’ infatti legata, per via dei colloqui non autorizzati tra Flynn e l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, alla vicenda più ampia dei rapporti tra Trump e la Russia. Trump non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per Putin e promosso la distensione con la Russia come un punto chiave della sua politica estera; questo atteggiamento ha generato molti sospetti, anche a seguito delle pubbliche accuse mosse al governo russo di interferenza sul regolare svolgimento delle elezioni americane. Com’è noto, Obama ha fatto allontanare un consistente numero di diplomatici russi, nelle ultime settimane del suo mandato.
Inoltre, i rapporti con la Russia sono materia di disaccordo tra Trump ed un folto numero di congressisti repubblicani, che fanno fatica a digerire l’atteggiamento di cieca simpatia di Trump per il leader russo interventista e spregiudicato. Paradossalmente, è anche possibile che l’allontanamento di Flynn – fortemente schierato su posizioni filo russe – porti Trump a ripensare alla sua posizione sulla materia, ad ascoltare figure più moderate del suo staff come il segretario alla difesa James Mattis ed in definitiva a riavvicinarsi alle tradizionali posizioni repubblicane in politica estera.