Nicola Cosentino, ex sottosegretario del Pdl, è stato condannato a nove anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione camorristica.
La sentenza del tribunale di S. Maria Capua Vetere “non mi convince”, ha detto il legale di Cosentino Agostino De Caro. “La valuteremo. Sono convinto cheCosentino non abbia commesso il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, aspettiamo le motivazioni”.
Per il pm Alessandro Milita, la sentenza “rende merito al grande lavoro della Dda, sia dei colleghi attualmente in servizio sia da quelli che iniziarono l’inchiesta”. La sentenza, gli hanno chiesto i cronisti, getta un’ombra sulla politica casertana? “È riduttivo dire un’ombra”.
La Dda ritiene quindi Cosentino il “referente nazionale del clan dei Casalesi”, secondo quanto annunciato dal collegio presieduto da Giampaolo Guglielmo.
Il collegio si è ritirato in camera di consiglio intorno alle 13.40. In aula presenti numerosi parenti di Cosentino, tra cui i due figli gemelli, che hanno sempre assistito alle udienze degli ultimi mesi.
“Per anni – ha detto durante la replica il sostituto procuratore – Cosentino è stato il rappresentante politico sul territorio casertano e non ha mai detto nulla contro il potere dei Casalesi. Questo è sintomo di mafiosità“.
Significative alcune dichiarazioni di Giuseppe Misso, ex reggente del clan Schiavone tra il 2002 e il 2006, che ieri ha deposto nell’altro processo “Il Principe” in cui Cosentino è imputato per riciclaggio.
“Misso ha parlato di un weekend che Cosentino passò in barca a Ventotene con Walter Schiavone (fratello del capoclan Francesco Sandokan Schiavone) e Dante Passarelli (imprenditore colluso morto anni fa) e che in quella circostanza aveva un cellulare Startac con i tasti rossi”.
Montone ribatte che “lo Startac uscì il 3 febbraio 1996, Walter Schiavone fu arrestato il 7 febbraio 1996, ciò vuol dire che la gita avvenne a febbraio. Misso non è attendibile”. Il legale ha invece contestato la circostanza che l’imputazione, secondo l’impostazione del pm, riguardi un periodo di oltre 20 anni, fin quasi ai giorni nostri.
“Il pm parla di imputazione aperta – dice Montone – ma ciò è inaccettabile. Lo sfido a venire in qualsiasi aula di università per far spiegare e far capire agli studenti cosa vuol dire ‘imputazione aperta’; è una cosa che non esiste”.