Il tentativo di un colpo di Stato nella notte (il primo fallito nella storia della Turchia) rappresenta un nuovo capitolo nella storia del paese, che ora mette apertamente di fronte il presidente Erdogan e buona parte dell’esercito.
L’esercito turco, il secondo più grande al mondo per dimensioni nell’ambito della Nato, non è nuovo a colpi di Stato nel Paese: se ne sono verificati già tre nella storia (nel 1960, nel 1971 e nel 1980) e in tutti e tre casi la permanenza al potere è stata breve. I militari sono intervenuti ogniqualvolta ritenessero violati i principi della democrazia laica del padre della patria Kemal Ataturk, in qualità di vigilanti della patria.
Il presidente è accusato sia dentro che fuori dal Paese di una accentuata islamizzazione della Turchia in chiave autoritaria (sostenuta da una larga frangia nazionalista della Turchia) e di una gestione molto incline al “pugno duro” della politica interna ed estera, dei diritti fondamentali e delle tematiche sociali (tra cui libertà di stampa, gestione della sicurezza e diritti delle comunità LGBT).
In particolare ad Erdogan viene contestata la gestione della guerra in Siria, la contrapposizione con Assad, l’aiuto offerto per molto tempo ad alcuni gruppi terroristici al confine siriano, nonchè la crisi diplomatica con Putin e la Russia.
Ovviamente le teorie su quanto accaduto si moltiplicano: c’è chi parla anche di un possibile supporto esterno al golpe (con molteplici ipotesi in ballo) o addirittura di “golpe fasullo” (cioè creato ad arte dal governo per giustificare mosse politiche future).
Molteplici anche le valutazioni sul modo in cui Erdogan esce dagli eventi di questa notte: chi dice che ne esca rinforzato, chi al contrario indebolito e screditato sul piano internazionale. I prossimi giorni saranno decisivi per chiarire il quadro della situazione.