Vent’anni di minacce e soprusi a cui un imprenditore bagherese ha deciso di ribellarsi. Ha cominciato a pagare in lire (3 milioni al mese) alla “famiglia” mafiosa di Bagheria. Per accontentare le richieste dei boss l’uomo è finito sul lastrico e ha dovuto chiudere l’attività. Questa è solo una delle storie delle vittime del racket scoperte dai carabinieri di Palermo che hanno eseguito 22 provvedimenti cautelari (la maggior parte dei destinatari erano comunque già detenuti) a carico di capimafia ed estortori dei clan bagheresi.
La vittima ha scelto di denunciare dopo anni di silenzio. Con lui altri 35 commercianti e imprenditori: una ribellione che segna una svolta nella lotta a Cosa nostra.
L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo, è il seguito di un’altra operazione messa a segno contro le cosche della cittadina alle porte del capoluogo, per anni feudo e rifugio, in latitanza, del padrino di Corleone Bernardo Provenzano.
Fondamentali per ricostruire gli assetti del clan le dichiarazioni del pentito Sergio Flamia. Tra le “ordinarie” storie di violenza, scoperte dai carabinieri, anche quella che vede protagonista un funzionario comunale dell’Ufficio tecnico di Bagheria che avrebbe avuto contrasti con la cosca legati alla lottizzazione di alcune aree.
Cosa nostra, nel 2004, gli ha incendiato la casa e sequestrato un collaboratore domestico.