In una lunga intervista rilasciata alla rivista Esquire, Paul McCartney si toglie qualche sassolino che aveva nelle scarpe. E forse, superata la settantina, essere “così” onesti non è più un problema.
Al giornalista senza peli sulla lingua, ammette – fra le altre cose – di essere stato particolarmente frustrato dopo la tragica uccisione di John Lennon, nel 1980.
“Ho sempre cercato – spiega – di vedere la cosa dal punto di vista della gente. Dopo i Beatles eravamo tutti alla pari, io avevo fatto i miei dischi, John i suoi e così anche George e Ringo. Ma quando John fu colpito a morte, a parte il puro orrore della cosa, capii subito ciò che sarebbe successo. ‘Ok, ora John è un martire. Un JFK’. E ho inziato a sentirmi frustrato, perché sapevo che la gente avrebbe iniziato a dire ‘Lui era i Beatles’ e noi tre saremmo spariti. Si capiva che ci sarebbe stato molto revisionismo dopo che spararono a Lennon”.
“Certamente John era il più brillante di noi – prosegue -. John fece un sacco di grandi cose. E dopo i Beatles fece ancora grandi cose ma anche cose di qualità non eccelsa, ma il fatto che è stato fatto martire lo ha elevato a livello di James Dean se non oltre. Anche se non mi interessa più di tanto, so che è così”.
“Quando ne parlavo con gli amici, loro mi tranquillizzavano, dicendo ‘La gente sa che non è così, sanno bene quel che hai fatto’”. Poi però son successe cose strane, prosegue McCartney, “come leggere sui giornali Yoko Ono che diceva ‘Paul non ha fatto nulla, ha solo prenotato le sessioni in studio’. Solo prenotare, andiamo…”.
McCartney continua senza freni: “Mi dissero che le canzoni sarebbero apparse sugli album come opera di Lennon-McCartney. Dissi ‘Ok, ma che ne pensate di alternarci o di mettere invece McCartney-Lennon per quelle scritte da me?’. I due dissero sì, ma non accadde mai”.
E conclude: “Sul mio iPad, ad esempio, non c’è abbastanza spazio per il nome completo degli autori. Se cerchi Hey Jude appare ‘di John Lennon e….’ perché sullo schermo non c’è spazio”.