Il basista era il nipote. È stato lui ad avvertire i complici rapinatori, tutti giovani dello Zen, che gli zii avevano avuto una eredità e potevano tenere del denaro in casa. La banda è entrata in azione il 6 settembre – due di loro, tre giorni prima, avevano aggredito e svaligiato la casa del noto avvocato palermitano Gioacchino Sbacchi – e ha tenuto sotto sequestro Fortunato Gebbia e la moglie, inferma. La polizia ha arrestato oggi i 4 criminali autori del colpo. Due erano già detenuti per l’agguato al penalista.
In carcere sono finiti Benito Biondo, 24enne, e Salvatore Zarcone, 23enne. La misura cautelare è stata notificata in carcere a Salvatore Puntaloro, 32 anni, e Salvatore Orlando, 24enne, entrambi detenuti per la rapina a Sbacchi.
Ai coniugi Gebbia la banda portò via soldi e oggetti di valore, tra cui ricordi del figlio morto. A indicare loro i luoghi in cui cercare era stato proprio il basista, nipote della coppia e cugino del ragazzo deceduto. Una storia drammatica scoperta dagli agenti del commissariato San Lorenzo, diretto da Luca Salvemini, coordinati dal pm Claudio Camilleri. Gli inquirenti sospettano che i banditi abbiano messo a segno altre rapine.
Dall’inchiesta è emerso inoltre che le vittime avevano cercato di “indagare” nel quartiere sugli autori del colpo, avendo capito che una talpa a loro vicina fosse coinvolta, e che volevano recuperare, nonostante le indagini fossero già in corso, la refurtiva attraverso ambienti criminali dello Zen.
I malviventi, travestiti e armati di coltello, minacciarono le vittime per farsi consegnare soldi e gioielli. Le modalità del colpo e di accesso all’appartamento orientarono, sin da subito, gli investigatori verso una “mano interna”. Il commando riuscì a fare ingresso nello stabile, approfittando dell’uscita dall’appartamento del proprietario,ch, come ogni giorno, andò presto al lavoro. Attesero che l’uomo aprisse la porta e lo spinsero dentro, immobilizzandolo. Durante le concitate fasi, uno dei rapinatori “confessò” alla coppia di avere partecipato al funerale del figlio.
Le indagini dei poliziotti sono state un mix di analisi scientifiche e tradizionali attività su un quartiere, lo Zen, che diffidenza e reticenze hanno da sempre reso un luogo ostico alle Forze dell’Ordine: in questo caso, però, lo stesso rione manifestò il proprio sdegno per la vicenda, perchè vittime erano due persone già provate dalla perdita del figlio. Il personale del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica isolò un’impronta che i poliziotti hanno confrontato con successo con quella di Biondo.
È stata la prima tessera che ha consentito agli agenti di ricostruire, per intero, il difficile puzzle della rapina: abbinata ad un nome di battesimo non proprio comune (Benito), captato da una delle vittime. Il monitoraggio del traffico telefonico dell’uomo ha poi svelato una sospetta mole di chiamate in entrata ed in uscita con altri tre malviventi, appunto Puntaloro, Orlando e Zarcone. Quest’ultimo, nipote delle vittime.