Pizzo, mafia e corruzione, operazione dei Carabinieri a Bari con sette arresti contro il clan “Di Cosola”. Le indagini, ordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno preso il via dopo il pestaggio di un imprenditore nel dicembre 2013 per il quale furono arrestati otto affiliati. In quel caso, come in quello di altri due titolari di aziende edili successivamente minacciati, lo scopo era di ottenere denaro in cambio di protezione ai cantieri.
Il “tariffario” stabilito dalla Cosca variava dai 1.000 ai 5.000 euro ma dall’inchiesta è emerso che il clan era solito imporre la propria manodopera per aumentare così i guadagni. Anche le aste giudiziarie erano finite nel mirino: secondo gli investigatori, gli uomini dell’organizzazione criminale avrebbe addirittura compiuto un blitz in uno studio legale di Bari per “pilotare” una gara per la vendita di alcuni lotti di terreno pignorati a un familiare di uno degli appartenenti al sodalizio mafioso. Gli ordini per condizionare le aste partivano persino da affiliati in carcere che attraverso familiari inviavano messaggi in codice.
Sono sette i provvedimenti restrittivi notificati stamani dai carabinieri nell’ambito di una indagine finalizzata a contrastare il fenomeno delle estorsioni e del condizionamento delle aste giudiziarie. Si tratta di Cosimo Di Cosola, di 43 anni, già detenuto, Dino Bergamasco, di 42, Carlo Giurano, di 31, Adriano Pontrelli, di 28, già detenuto, Daniele Pellegrini, di 25, Nicola Lorusso, di 22, e Sebastiano Petruzzelli, di 26. Sono tutti accusati, a vario tiolo, di estorsione e turbativa d’asta.
Un’indagine che, per il comandante provinciale dei carabinieri di Bari, col. Rosario Castello, rappresenta “l’ennesimo colpo importante inferto alla criminalità barese”. L’operazione cristallizza presunte responsabilità degli indagati che vedono Cosimo Di Cosola, “lo zio” come lo chiamano i suoi sodali, mandante del pestaggio compiuto nel 2013 ai danni di un imprenditore (alla presenza di sua moglie) che non voleva pagare il pizzo. Da qui si comincia ad indagare sulle estorsioni compiute dal gruppo criminale e si scopre il tentativo di turbare un’asta giudiziaria.
Centrale nell’inchiesta è il ruolo di Cosimo Di Cosola. Un imprenditore edile viene addirittura portato al cospetto di Di Cosola per risolvere la controversia relativa ad un credito vantato da un operaio. La circostanza induce il pm che interroga l’imprenditore a chiedere: “Che fa Di Cosola? Il Giudice di Pace?”. “Non che fa il Giudice di Pace – è la risposta -, è uno che si mette in mezzo”. “Non ho capito, con quale ruolo svolge questa attività di mediazione? Risolve i problemi; è così?”, incalza il pm. “Sì – replica l’imprenditore – … Di Cosola, comunque, sono nominati al telegiornale” … “Quindi come noto pregiudicato, questo vuole dire lei? – cerca chiarimenti il pm – Interviene in queste vicende per risolvere queste controversie; è così?”. “Sì”, conclude l’imprenditore, che appare intimidito e minacciato perché non riesce a pagare le rate del pizzo pattuito. In un’occasione uomini del clan gli buttarono olio bruciato contro l’abitazione come di avvertimento.