Maxi operazione contro la ‘ndrangheta: i carabinieri hanno arrestato 160 persone tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. Centodiciassette i fermi disposti dalla magistratura di Bologna. Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia.
ARRESTATO ANCHE IL PADRE DI VINCENZO IAQUINTA
“Un intervento che non esito a definire storico, senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”. Così sull’indagine di Bologna il procuratore Franco Roberti. “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”.
L’inchiesta, denominata “Aemilia” è coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Bologna, che ha ottenuto dal gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 117 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro. Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa.
Contestualmente, le procure di Catanzaro e Brescia hanno emesso altri 46 provvedimenti di fermo per gli stessi reati. Imponente lo schieramento dei carabinieri impiegati, anche con l’ausilio di elicotteri, in arresti e perquisizioni. In Emilia, sottolineano gli investigatori, la ‘ndrangheta ha assunto una nuova veste, colloquiando con gli imprenditori locali.
Tra gli arrestati c’è anche un consigliere comunale di Reggio Emilia. Si tratta di Giuseppe Pagliani, di Forza Italia: i militari lo hanno prelevato dalla sua abitazione.
Il “locale” di ‘ndrangheta di Cutro (Crotone) stava diventando il punto di riferimento delle cosche del crotonese ed il suo presunto capo, Nicolino Grande Aracri, aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia a quella reggina. È quanto emerge dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro che stamani ha portato all’esecuzione di 37 fermi in varie regioni e che si inserisce nella più vasta operazione dei carabinieri, coordinata anche dalle Procure distrettuali di Bologna e Brescia, sulle infiltrazioni delle cosche in Emilia Romagna dove era operativa una cellula della ‘ndrina crotonese.
“Si tratta – ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – di una operazione importante perché evidenzia il ruolo che stava assumendo Cutro e che non aveva mai avuto”. A parlare delle intenzioni di Grande Aracri di costituire una grande provincia di ‘ndrangheta è un collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà, ritenuto un boss della ‘ndrangheta del lametino. Dalle indagini è emerso anche come la cosca di Nicolino Grande Aracri, almeno sino al momento del suo arresto, avvenuto nel 2013 per una tentata estorsione ad un villaggio turistico, stesse assumendo il ruolo, essenzialmente, di punto di riferimento delle cosche di tutto il distretto giudiziario di Catanzaro – che comprende anche le province di Crotone, Cosenza e Vibo Valentia – ma con contatti anche con cosche del reggino.
“Grande Aracri – ha detto Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso”. Nel suo ruolo di “direzione”, secondo quanto emerso dalle indagini, Nicolino Grande Aracri avrebbe avuto la collaborazione dei suoi fratelli, Domenico ed Ernesto, di fatto suoi emissari.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio fu sentito “come persona informata sui fatti” nelle indagini della Dda di Bologna. Lo ha spiegato il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso. Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia, fu sentito nel 2012. “Volevamo capire in che tipo di considerazione la società di Reggio Emilia teneva la comunità calabrese” ha detto Alfonso, aggiungendo che oltre a Delrio furono sentiti altri politici reggiani.