La Guardia di finanza ha confiscato a Roma beni per un valore di tre milioni e mezzo di euro riconducibili a esponenti di spicco della cosca di ‘ndrangheta dei Gallico di Palmi, egemone nella Piana di Gioia Tauro.
L’operazione che ha condotto alla confisca, denominata “Caput mundi”, è stata condotta dal comando provinciale di Reggio Calabria delle Fiamme Gialle insieme allo Scico di Roma, con il coordinamento della Dda reggina.
La confisca è stata fatta in esecuzione di provvedimenti emessi dalla sezione di misure di prevenzione del Tribunale di Reggio. I beni confiscati, riferisce la Guardia di finanza, costituivano un ingente patrimonio, immobiliare e societario accumulato dagli esponenti della cosca a fronte di un’esigua capacità reddituale.
Confiscate le quote sociali e l’intero patrimonio aziendale della Macc 4 Srl, con sede a Roma che si occupa di acquisto, vendita e gestione di bar, ristoranti, pizzerie, rosticcerie, proprietaria del bar “Antiche mura”; il 30% delle quote del capitale sociale e del patrimonio aziendale, comprensivo dei conti correnti, della Colonna Antonina 2004 Srl titolare, sino al novembre 2009, del noto Bar Chigi; due immobili, tra cui un villino di pregio, a Roma; appezzamenti di terreno agricolo per oltre 12 mila metri quadri; vari rapporti finanziari bancari, postali ed assicurativi: sono i beni confiscati a Roma dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria.
I destinatari del provvedimento sono Francesco Frisina, figlio di Domenico ucciso nel 1979 nell’ambito della sanguinosa faida che aveva visto contrapposte le cosche Condello e Gallico; e il nipote Alessandro Mazzullo, 31enne.
Le indagini che hanno condotto alla confisca sono partite nel 2009 e hanno consentito di ricostruire l’infiltrazione, da parte di soggetti appartenenti a consorterie della ‘ndrangheta calabrese, nel tessuto economico e imprenditoriale capitolino.
Le risultanze dell’indagine hanno evidenziato che la cosca Gallico, grazie a legami dei due destinatari del provvedimento con altri elementi di elevata caratura criminale, collegati a vario titolo con la cosca Alvaro di Sinopoli e Cosoleto, rispettivamente denominate “Carni i cani” e “testazza o cudalonga”, che già da tempo operavano a Roma, aveva delocalizzato il proprio centro di interessi dalla Calabria alla Capitale. I due destinatari del provvedimento, infatti, in un ristretto lasso di tempo sarebbero riusciti ad avviare una serie di operazioni finanziarie tese all’acquisizione di immobili e alla gestione di varie attività commerciali, soprattutto nel settore della ristorazione.