Non è un pentito l’uomo che ha rivelato un piano di Cosa nostra per uccidere il pm Nino Di Matteo, che rappresenta l’accusa nel processo Stato-mafia in corso a Palermo. A parlare è stato Vito Galatolo, 41 anni, arrestato più volte (l’ultima nell’operazione denominata Apocalisse), figlio di Vincenzo, boss del quartiere palermitano dell’Acquasanta, da anni al 41 bis.
Secondo quanto riportano oggi da alcuni quotidiani, Galatolo avrebbe riferito di aver partecipato a due summit per programmare l’attentato, che sarebbe potuto avvenire a Roma (utilizzando delle armi) o a Palermo, usando esplosivo.
Il figlio del boss ha detto di avere voluto rivelare il progetto di attentato “per togliermi un peso dalla coscienza”.
“Abbiamo già convocato i magistrati che vedremo a breve. Sappiamo che tutti i dispositivi di sicurezza sono stati messi a disposizione ma non sottovalutiamo nessun allarme”, ha detto la presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi. “Spesso – ha aggiunto Bindi – dopo le minacce nascono le convenienze, questo è uno dei modi con cui le mafie continuano a essere padrone del territorio. C’era stato detto nelle audizioni precedenti che la mafia si stava insediando attraverso il pizzo, l’usura, la droga. Ma lo Stato, la magistratura e le forze dell’ordine sono presenti, come dimostra l’operazione di oggi a Palermo (in cui sono finite in manette 18 persone del mandamento di Brancaccio, n.d.r.)“.
Parla di soggetti esterni alla mafia coinvolti nel progetto di attentato al pm Nino Di Matteo il boss Galatolo, capomafia dell’Acquasanta figlio di Enzo. Qualche settimana fa Galatolo ha incontrato gli inquirenti ai quali ha raccontato del piano di morte: parlare di pentimento è ancora prematuro. La preoccupazione del boss, al momento, sembrerebbe quella di scongiurare una nuova strage. La fuga di notizie sulle aperture fatte dal capomafia ha costretto gli investigatori a mettere in sicurezza, questa mattina, i suoi familiari, che sono ora piantonati dai carabinieri in vista di un probabile trasferimento in una località protetta. Nelle primissime dichiarazioni Galatolo, arrestato a giugno dopo una precedente condanna a 6 anni e un periodo di sorveglianza speciale con soggiorno obbligato a Mestre, avrebbe parlato di un input esterno alla mafia nel progetto di attentato a Di Matteo, mostrando di temere le conseguenze che un simile atto avrebbe potuto portare anche a Cosa nostra.