È stato liberato Marco Vallisa, il tecnico italiano della ditta “Piacentini” rapito in Libia a Zuara il 5 luglio 2014. A renderlo noto è stato il ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale Paolo Gentiloni.
“Esprimo profonda soddisfazione per la liberazione di Marco Vallisa“, ha affermato Gentiloni. “Desidero ringraziare calorosamente tutti coloro che hanno lavorato per il felice esito della vicenda. Tale risultato – ha proseguito commenta – è il frutto di un gioco di squadra dell’Unità di crisi del ministero degli Esteri, dei nostri servizi d’informazione e dell’ambasciata d’Italia a Tripoli. A tutti esprimo il mio più vivo apprezzamento per la dedizione e la professionalità dimostrata e per l’efficace e paziente azione. Un particolare ringraziamento – conclude il titolare della Farnesina – va alla famiglia Vallisa per la fiducia nel lavoro delle istituzioni”.
Vallisa è giunto a Roma intorno alle 7.50. Cinquantaquattro anni, originario di Roveleto di Cadeo in provincia di Piacenza, Vallisa era impegnato in un cantiere quando è stato rapito insieme con altri due colleghi, il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri, nella città costiera di Zuara, abitata in prevalenza da berberi. Matic e Gafuri erano stati poi rilasciati due giorni dopo.
Questa mattina alle 8.30 don Umberto Ciullo, il parroco di Cadeo il comune della bissa piacentina in cui abita il tecnico Marco Vallisa, ha fatto suonare le campane in segno di festa.
Per la liberazione di Marco Vallisa, il tecnico italiano rapito in Libia il 5 luglio, “sarebbe stato pagato un riscatto di quasi un milione di euro”. Lo sostiene all’agenzia France Presse una fonte della sicurezza locale che chiede di restare anonima. Secondo la fonte, Vallisa è stato tenuto prigioniero da un gruppo armato, di cui non è stata fornità l’identità.
Dopo la liberazione di Marco Vallisa in Libia, restano cinque gli italiani sequestrati all’estero e sulla cui sorte non si hanno più notizie in alcuni casi da mesi, in altri da anni: le due giovani cooperanti lombarde Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, scomparse in Siria dal 31 luglio 2014; il tecnico veneto Gianluca Salviato, rapito in Libia il 22 marzo 2014; il gesuita romano padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato a fine luglio 2013 in Siria; il cooperante palermitano Giovanni Lo Porto, scomparso il 19 gennaio 2012 tra Pakistan e Afghanistan. Per tutti i casi la Farnesina ha sempre chiesto in questi anni il massimo riserbo ma, di tanto in tanto qualche notizia, più o meno affidabile, è trapelata soprattutto da fonti e quotidiani locali. Su Greta e Vanessa le ultime informazioni risalgono al 20 settembre quando prima si è diffuso il timore che fossero cadute nelle mani dei jihadisti dell’Isis poi è arrivata la smentita di un quotidiano libanese vicino al movimento sciita Hezbollah, alleato del regime di Damasco. Secondo Al Akhbar le giovani cooperanti erano cadute in una trappola, rapite e poi vendute da un gruppo armato ad un altro ma non erano in mano allo Stato islamico.
Naturalmente è difficile stabilire la vericidità della notizia anche perché il giornale non è imparziale. Ma quando, nei mesi scorsi, aveva pubblicato indiscrezioni sulla sorte di padre Dall’Oglio, il racconto era stato in seguito confermato sia da fonti italiane attive per la liberazione del gesuita sia da diverse fonti siriane. Da quell’articolo, comunque, non si sono avute più notizie sulla sorte di Greta e Vanessa. Anche su padre Dall’Oglio le ultime informazioni risalgono a settembre: secondo fonti che lavorano sul terreno per la sua liberazione, il gesuita sarebbe invece detenuto in una delle prigioni dell’Isis a Raqqa, da oltre un anno divenuta la roccaforte dello Stato islamico in Siria. Ancora più rare e incerte le notizie che riguardano i casi del cooperante palermitano Lo Porto, di cui si sono perse le tracce da quasi tre anni, e di Gianluca Salviato, rapito in Cirenaica il 22 marzo scorso. Una vicenda quest’ultima che preoccupa anche perché il tecnico veneto soffre di diabete e ha bisogno dell’insulina.