Dice Wired, il celebre magazine dal sapore un po’ nerd, che in Italia è in arrivo ‘Rooms’, una nuova applicazione ideata da un ventiquattrenne – il futuro miliardario Josh Miller – che sarà collegata a Facebook seppur indipendente (non l’ho capito nemmeno io) e a sua volta suddivisa in diverse ‘finestre’ indipendenti tra loro.
Al netto del mio scarso masticare di informatica, Rooms sembra una ode alle notti in bianco degli anni novanta, una apologia alle chatroom anonime (come ad esempio C6… ansia, ansia) che ricorderemo tutti per sempre con grande affetto ma che non sembrano essere necessarie.
Comunque, al momento, europealmente parlando, Rooms è disponibile soltanto in Inghilterra ma presto anche noi italiani potremo riprovare l’ebbrezza di nasconderci dietro pseudonimi intelligentissimi come Grossamazzaperte, Cloroalclero e Fragola87 e trascorrere intensissime notti a chiacchierare dei fatti nostri con gente che nella vita reale nemmeno degneremmo di uno sguardo.
Chiunque potrà creare una stanza e imbastire una conversazione, definire e colorare il layout e titolarla. Ps: la stanza sarà rintracciabile attraverso i motori di ricerca, quindi fate poco i furbi e/o i fedifraghi. Inoltre si potranno condividere immagini e testi con i contatti che inviterete, perché Rooms funzionerà a invito.
Facebook ci riporta dunque all’anonimato delle chat che hanno dato il via alle conversazioni 2.0, ci fa tornare a quando si scriveva ‘da dove DGT’ e ‘Come ti chiami di vero nome’. Tralasciando la (s)correttezza grammaticale di questa e altre frasi-tipo da chat anni 90/primi 2000, la cosa bella era l’imprevisto, l’ignoto. Se volevi conoscere e sapere dovevi chiedere, mica come adesso che è tutto online e noi da bravi passivi passiamo giornate intere su internet a farci i cazzi degli altri, ignorando notizie, documentari, video, esperienze tridimensionali che dal divano ti fanno visitare Tokyo solo per spettegolare.
Facebook ci ha insegnato a sentirci malinconicamente soli e abbandonati se all’accesso non troviamo notifiche, Facebook ci ha insegnato a sostituire con Facebook le amicizie vere, le telefonate, le finestre, le cene con gli amici, i libri che ci portavamo in bagno la mattina. Ok, i fumetti.
Ormai Facebook ha sostituito tutto con Facebook e ci ha resi vittime dell’immagine di noi stessi che noi stessi ci siamo costruiti su Facebook e alla quale dedichiamo più tempo che alla nostra igiene personale, chè tanto a casa, chi ci vede? Facebook ci ha insegnato a pensare male di chi Facebook non ce l’ha, tipo chissà questo che c’ha da nascondere che non c’ha feisbuc o chissà questo come le passa le giornate che non c’ha feisbuc.
Da quando abbiamo Facebook abbiamo sviluppato svariati superpoteri: sappiamo comprendere la personalità di qualcuno semplicemente dalla sua foto profilo, leggiamo nel pensiero e tra le righe, siamo telepatici. Facebook ci ha insegnato a lanciare messaggi nel cyberspazio quando siamo innamorati, arrabbiati, invidiosi o offesi, e scriviamo nel vuoto post allucinanti senza specificarne il destinatario (e spesso nemmeno il soggetto o il verbo o il predicato ma beh) solo nella speranza che siano colti dalla persona giusta. Sfiga maxima.
E adesso che torniamo a chattare con gente estranea che facciamo? Non è che possiamo scrivere in una chatroom ‘Per te che ti senti scaltra, sappi che non è vero che il tuo fidanzato ce l’ha piccolo, e chi vuol intendere intenda’, oltretutto verremmo subito scoperti/e.