Di poche ore fa la notizia bomba relativa alla Rai. No, non sto parlando di quel poraccio di Tiberio Timperi che ha bestemmiato nel fuori onda di Uno Mattina e, se consideriamo che deve condurlo, possiamo anche fare lo sforzo di capirlo (sischerza).
Parlo del canone, del canone Rai. Parlo del fatto che il canone Rai cambierà nome e diventerà ‘contributo al servizio pubblico’. Traduzione: una nuova tassa per noi italici, yeee! In ogni caso, andare a elencare uno per uno in ordine di angoscia i programmi Rai è solo controproducente, essendo io sicura che giusto Che Tempo Che Fa e Porta A Porta possono essere annoverati vox populi in una lista di programmi Tv degni di questo nome, universalmente parlando, perché anche Mediaset non è che sia proprio una rete colta.
Ma prima di ogni altra cosa/lamentela, va detto che il nome, ‘contributo al servizio pubblico’ è una pensata di quelle che ti fanno capire perché i politici guadagnano così tanto. Voglio dire, hanno articolato una frase – perché ‘contributo al servizio pubblico’ è quasi una frase – che contiene la parola ‘servizio’ e la parola ‘pubblico’ perché adesso il pagamento del servizio (mi riesce difficilissimo vedere la Rai come servizio e per di più pubblico) non è più a discrezione del cittadino ma sarà un importo che lo Stato preleverà in autonomia dal modello F24.
Una tassa. E se fino a ieri il canone era una preoccupazione soltanto di mia nonna Franca e delle sue amiche, mo’ dobbiamo ‘contribuire’ tutti, al canone. Tutti, capito? Il retroscena è che il caro vecchio canone sarà trasformato in imposta nel 2015, anno in cui, in base al reddito familiare o forse anche alle case di proprietà, la tassa sulla tv pubblica oscillerà tra le 55 e le 80 euro. Diciamo anche che non mi sembra una grossa novità pagare tasse per servizi non richiesti che sono anche scadenti e anacronistici. Leggi Tram a Palermo, nel 2015.
Scrisse il conduttore tv britannico Sir David Frost che la televisione è l’invenzione che ci permette di essere divertiti, nel nostro soggiorno, da gente che non vorremmo mai avere in casa. Non posso che dargli ragione. Del resto io non posseggo televisori perché mi spaventa anche solo l’idea dell’esistenza di Barbara D’Urso (e del carmelitasmack), del trash nazional popolare di Ballando con le Stelle e ovviamente, levatevi tutti, dei tronisti. Eppure dall’anno prossimo dovrò privarmi di ottantaeuro per finanziare il servizio pubblico numero uno: la Rai, la radiotelevisione italiana.
Immagino che il futuro sia una tassa sullo smartphone, tablet e computer visto che con questo andazzo, nessuno comprerà più tv. Perché già oggi, chi la guarda? Tutti ci giostriamo per come possiamo con internet tra streaming – arrestateci tutti – e dirette via web di partite di calcio perché A) èggratise. B) decido io cosa e quando guardare, a dispetto di tutte le formule più o meno fortunate delle paytv che dai, non ce la fai a competere e costi pure assai. Detto ciò, molti di noi, anzi di voi, non rinunceranno alla tv e saranno costretti a pagare il ‘contributo al servizio pubblico’ quindi evito di stilare un triste promemoria dei palinsesti che da gennaio costeranno 80 euro, ma invito tutti a riflettere sul fatto che la discussione sul pagamento del canone è iniziata da una proposta di abolizione.
Solo in Italia può succedere una cosa così. Cioè, vi riunite per decretare la fine di questa ridicolissima pantomima e uscite dalla stanza facendola diventare una tassa? Obbligare l’italiano a pagare per vedere la Littizzetto che si struscica sul tavolo di Fazio può anche andar bene, ma Marzullo che marzulla no e ancora no, ascolto le stesse domande da trent’anni e ancora non ho capito se la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio.
Vediamo di trovare il lato positivo di ogni cosa, ci obbligano a pagare ma non possono obbligarci a guardare. Buona visione.