Un anno è trascorso da quel tragico 3 ottobre del 2013 in cui 368 migranti morirono nel naufragio, al largo di Lampedusa, del barcone sul quale viaggiavano. Un viaggio della speranza, come si dice: la speranza di arrivare in Sicilia, regione nel cuore del Mediterraneo, avamposto di quell’Europa tanto agognata. Una tragedia che ha riacceso i riflettori sul dramma dell’immigrazione dopo che Politica e Istituzioni avevano cominciato ad abituarsi all’arrivo di uomini, donne e bambini senza un’identità.
All’indomani della strage, mentre cadaveri su cadaveri venivano ammucchiati sul molo del porticciolo, mentre bare accanto a bare venivano raccolte nell’hangar del piccolo aeroporto, una sfilza di ministri, assessori, rappresentanti dell’Unione europea sfilarono al fianco del sindaco coraggioso di Lampedusa, Giusi Nicolini, pronunciando bei discorsi, promettendo interventi.
Alle voci di tutti si aggiunse a quella di Papa Francesco che, pochi mesi dopo la sua salita al soglio papale, nel luglio del 2013, si era recato sull’isola dell’Agrigentino per portare il suo messaggio di speranza e solidarietà. “Immigrati morti in mare – disse nella sua omelia – su quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta”. Purtroppo, un paio di mesi di dopo, si verificò la più grande tragedia in mare dei giorni nostri.
Il 18 ottobre successivo la Marina militare italiana diede il via all’operazione Mare Nostrum, per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia. Le intercettazioni di barconi e gommoni in difficoltà in alto mare hanno permesso di salvare centinaia di migliaia di vite umane, di arrestare decine di scafisti, nonostante i morti nel Mediterraneo siano stati ancora molti.
NAUFRAGIO NELLE ACQUE DELLA LIBIA
Un carico di responsabilità e di costi che soltanto di recente, dopo le numerose richieste del ministro degli Interni Angelino Alfano – anche a voce alta – e dei premier, prima Enrico Letta poi Matteo Renzi, l’Unione europea ha capito che l’Italia non poteva essere lasciata sola ad affrontare il problema dell’immigrazione. D’altronde, questi uomini in cerca di salvezza dai loro paesi in miseria o in guerra (si sono moltiplicati gli sbarchi di siriani e palestinesi dopo l’inizio dei conflitti), arrivano in Italia soltanto perché è la terra a loro più vicina, ma l’obiettivo è molto spesso quello di riprendere il viaggio verso altre nazioni, come la Germania, il Belgio, la Francia.
A novembre, dunque, partirà Frontex plus, l’operazione europea per il controllo del fenomeno dell’immigrazione. Un’operazione che ha però il sapore dell’ipocrisia: Il portavoce del commissario per gli Affari interni Cecilia Malmstrom, Michele Cercone, ha spiegato, infatti, che la sostituzione di Mare Nostrum con Frontex “non è ipotizzabile perché non ci sono né fondi né mezzi” e che sono, quindi, “totalmente infondate” le indiscrezioni di stampa in base alle quali Frontex possa farsi carico del lavoro di Mare Nostrum in un’area più ristretta del Mediterraneo rispetto a quella in cui opera attualmente la missione italiana. Cosa sarà dunque Frontex plus? E quanto, realmente, l’Italia sarà aiutata dall’Ue nel gestire il controllo delle frontiere meridionali dell’Europa? Sono ancora domande senza risposta. Magari, un contributo decisivo arriverà dal nuovo Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue, l’ex ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini.
Intanto, a un anno dalla tragedia, il Viminale e l’Università degli studi di Milano hanno dato il via alle procedure per l’identificazione dei cadaveri del 3 ottobre ancora senza un nome. I sopravvissuti del naufragio, 155 persone, e i parenti presunti delle vittime torneranno sull’isola di Lampedusa, accolti dai membri del “Comitato 3 ottobre”, nato all’indomani della strage. Avranno accesso a un book fotografico e alla raccolta di reperti recuperati sulle salme. Nel caso in cui il confronto porti ad un “sospetto di identità”, saranno effettuati degli ulteriori riscontri attraverso metodi scientifici. In questo viaggio doloroso saranno affiancati da un team di medici e psicologi. Perché il dolore di quel giorno non è ancora finito.