Selfie, delfie, belfie, gelfie, melfie, lelfie e telfie. Non sono i nomi ebeti di una famiglia di orsetti delle favole, sono le tipologie di autoscatto più frequenti in questa nostra disagiatissima epoca. Dunque, dimmi come ti fotografi e ti dirò di quanto sei disagiato in una scala da 0 a Pronto Soccorso.
Inutile parlare ancora di selfie e di quanto siano orrorifici poiché nell’ultimo anno non s’è parlato d’altro se non dei patetici tentativi dell’uomo – e della donna – di mostrarsi al pubblico all’opposto di come è nella realtà della sua normale esistenza.
Inutile descrivere l’angoscia profondissima che mi prende quando nell’aprire Facebook, Instagram e Twitter il lunedì mattina, che già come momento è malinconico, vedo solo i faccioni di amici & conoscenti in primo piano nei bagni di casa loro, in ascensore o in macchina nel traffico (ma perché?). Inutile raccontare di quanto sia snervante sfogliare le fotografie dei viaggi, visto e considerato che – anche se nella didascalia c’è scritto “Serata super divertente a Tokyo, yeah!” – l’immagine è per il 99% un trionfante brutto muso davanti a un palo della luce che potrebbe essere anche nella periferia di Pietracarmela in provincia di Teramo (che è in Abruzzo, studiatevela la geografia).
E comunque siete tutti bellissimi e fighissimi quando vi fotografate voltati da una parte, a guardare le mosche, come se la foto ve la stesse scattando qualcun altro, che se non si vedesse anche il vostro braccio teso sarebbe quasi, forse, credibile. Sicché, almeno state attenti ai dettagli.
Siete molto belli mentre vi strusciate con il gattino che intanto sta cercando di scappare, abbracciati all’amica ubriaca che è venuta malissimo e voi ne siete solo lieti, siete belli mentre guidate e pertanto rischiando incidenti frontali ma per un po’ di marketing personale questo ed altro, siete belli anche allo specchio bisunto della toilette lercia delle discoteche dove andate a sterminare i vostri neuroni.
Solo non tenete in considerazione la più disastrosa conseguenza di questa triste pratica:
Se esiste la possibilità che qualcuno/a vi inviti a uscire nonostante gli/le stiate massacrando la vita con i vostri selfie, ad un eventuale appuntamento dal vivo egli/ella sarebbe costretto/a a confrontare voi virtuali VS come siete in realtà e cioè normali (leggasi normali, non con i capelli arruffati ad hoc, gli occhioni languidi e labbra umide e socchiuse.)
Postilla: labbra umide e socchiuse in una specie di bacio dato all’uomo invisibile o colte in un espressione di stupore come se aveste appena visto l’Arcangelo Gabriele.
Partendo perciò dal presupposto che farsi i selfie sparandosi le pose non solo é intensamente tragico ma anche controproducente, vediamo insieme i livelli di questo strazio quotidiano:
Alfie – o autoscatto con animale domestico di tipo indefinito, quindi cane, gatto, pesce, uccello e per i più creativi anche gallina o pecora o galline e pecore. Delfie – autoscatto con cane che fa tanto Pollyanna, cosa alla quale non crede nessuno. Belfie – è il vostro sederone allo specchio, da B-Side, lato B. Se volevamo vederlo ti avremmo chiesto di girarti.
Driving selfie – selfie mentre guidate, ma ci siete deficienti. Gelfie – (gymselfie) quando vi immortalate in palestra sudati e puzzolenti. Motivo? Lelfie – (legselfie) fotografie delle vostre gambe, sdraiati a mare ad esempio. Quando la cellulite non si vede perché la gravità la spinge giù. Furbi voi. Melfie – (mirrorselfie) autoscatto allo specchio e per favore, levate l’asciugamano fetida dal pavimento prima e state attenti ai familiari che intanto fanno le smorfie dietro di voi, che capita.
Telfie – come sopra, non fosse che la Toilette non è la vostra bensì quella di un locale di lusso nel quale invece di mangiare, bere, fare amicizia e divertirvi vi chiudete in bagno a farvi foto. No comment anche perché significherebbe introdurre l’argomento “Perché avete deciso di abbandonare le vostre vite in favore dei social network”. Quindi no e ancora no.