Riparte con l’arrivo dell’autunno il dibattito sull’articolo 18. Renzi non aveva mai nascosto il suo pensiero sull’argomento e lo scontro con i sindacati era dietro l’angolo.
Ma che cos’è l’articolo 18?
La legge numero 300 del 20 maggio 1970, comunemente chiamata “Statuto dei lavoratori”, organizzato in diversi “titoli” dedicati al rispetto della dignità del lavoratore, alla libertà e attività sindacali, al collocamento e ad altre disposizioni transitorie. L’articolo 18 è contenuto nel “Titolo II – Della libertà sindacale”.
L’articolo 18 indica quali sono le regole per il reintegro del lavoratore nel suo posto di lavoro. In poche parole dice quali sono i diritti e i limiti per chi viene licenziato e fa richiesta al giudice per rientrare in possesso del suo posto di lavoro, perché allontanato senza un motivo giustificato, ovvero senza giusta causa.
Se il giudice stabilisce l’annullamento del licenziamento, perché avvenuto senza una giusta causa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il dipendente licenziato, al suo vecchio posto di lavoro. L’obbligo prevede che vengano ripristinate le condizioni pre-licenziamento, assicurando al lavoratore lo stesso trattamento economico di cui godeva prima di essere mandato a casa e il medesimo ruolo. L’articolo 18 prevede anche alcune compensazioni per il lavoratore licenziato e successivamente reintegrato.
Prevista anche la possibilità di non rientrare in azienda e risolvere il contratto del lavoro in cambio di un’indennità, una volta però ottenuto il reintegro.
Un altro punto che ha acceso la polemica sul tema riguarda la platea di lavoratori che beneficiano dell’articolo 18 riguarda. Lo Statuto dei lavoratori prevede che questo sia applicato solamente nelle aziende che hanno 15 o più dipendenti (più di cinque nel caso di aziende agricole).
Il governo vorrebbe ridurre sensibilmente le tipologie di subordinazione presenti sul mercato attraverso l’introduzione del contratto a tempo indeterminato, ma con minori garanzie per i neoassunti.
Si tratta del cosiddetto “contratto a tutele crescenti”: per i primi tre anni le garanzie di assunzione dovrebbero essere ridotte, con una maggiore possibilità di licenziare assicurata al datore di lavoro.
A stabilire l’avanzamento delle tutele sarà l’anzianità di servizio: ciò che, ancora va definito, è il limite temporale in cui l’articolo 18 finirà per essere congelato ai nuovi assunti. Si parla di tre anni, mentre la minoranza Pd e alcune opposizioni spingono per una riduzione dei tempi.
L’articolo 18 non riguarderà più i licenziamenti senza giusta causa, con eccezione per quelli discriminatori, in riferimento ai quali dovrebbe rimanere in vigore anche per i neo-assunti. Potrebbe essere introdotto un margine di indennizzo per i licenziati sottoposti a questo regime dalle inferiori coperture di welfare che potrebbe essere pari a 24 mensilità.
La Cgil, in prima fila contro le modifiche dell’articolo 18, si è detta disponibile a discutere del numero degli anni che potrebbero intercorrere per l’applicazione ai neoassunti dell’Art.18, ma appare difficile possa andare oltre i 3. Un altro punto sul quale il sindacato non vuole cedere è la possibilità di un demansionamento del lavoratore.