Il jobs act sta per arrivare in aula e mentre il premier Matteo Renzi ingaggia un duro scontro con i sindacati, i parlamentari sono al lavoro per scrivere gli emendamenti. Ecco cosa cambia con la riforma.
> SCONTRO TRA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E I SINDACATI
Con l’abolizione dell’articolo 18, su cui si consuma lo scontro maggiore, il lavoratore non ha più diritto al reintegro se licenziato. Il diritto a essere reinserito in organico resterebbe solo nei casi di licenziamenti discriminatori (fede religiosa, politica, appartenenza sindacale, razza, sesso).
Solo due le forme di lavoro previste: autonomo e dipendente. Quella dipendente, a sua volta, si suddivide in tempo determinato e tempo indeterminato a tutele crescenti. Quest’ultima dovrebbe essere la forma più diffusa, perché l’azienda sarebbe incentivata a ricorrervi con uno sconto sul costo del lavoro rispetto a un contratto a termine.
Nel contratto a tutela crescente, se l’azienda risolve il rapporto di lavoro deve restituire allo Stato lo sconto di cui ha beneficiato.
Eliminando le forme di contratto attualmente esistenti, i lavoratori avrebbero tutti gli stessi diritti (minimi di retribuzione, maternità, ferie, ammortizzatori sociali) secondo il tipo di contratto (a termine o a tutele crescenti).
E’ prevista una semplificazione, anche con l’utilizzo di strumenti telematici, delle procedure burocratiche che permettono alle imprese di accedere alla Cig.
Il governo si impegna a ridefinire l’ambito di applicazione della Cig ordinaria e straordinaria (mentre quella in deroga è destinata a sparire). C’è inoltre l’impegno da parte dell’esecutivo a far partire i fondi di solidarietà, già previsti dalla riforma Fornero del 2012 e non ancora decollati. Si tratta di ammortizzatori sociali che dovrebbero svolgere gli stessi compiti della cassa integrazione, nelle aziende che non possono accedervi.