Padre Pino Puglisi nacque nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta. In quella stessa borgata venne ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo 56esimo compleanno. I sicari lo aspettarono davanti al portone della sua casa, al numero 5 di piazzale Anita Garibaldi. “Me l’aspettavo” disse Don Pino al suo assassino, Salvatore Grigoli, collaboratore di giustizia, pochi istanti prima di essere ucciso. Padre Pino Puglisi è stato proclamato Beato il 25 maggio 2013 a Palermo.
Ventuno anni dopo la sua morte, il presidente del Consiglio Matteo Renzi inaugura l’apertura dell’anno scolastico nella scuola del parroco ucciso dalla mafia. “È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole – diceva padre Puglisi – per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per i soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore, ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti”.
Padre Puglisi entrò nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e venne ordinato sacerdote dal Cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 venne nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1967 è nominato cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori “Roosevelt” e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi. Sin da questi primi anni seguì con attenzione i giovani e si interessò delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città. Il primo ottobre 1970 venne nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo – segnato da una sanguinosa faida – dove rimase fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono.
Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Nel 1983 diventa responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano. Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole.
Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal 78 al 93. Dal 23 aprile 1989 sino alla morte svolse il suo ministero sacerdotale presso la Casa Madonna dell’accoglienza dell’Opera Pia Card. E. Ruffini in favore di giovani donne e ragazze in difficoltà. Nel 1992 assunse l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo. A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipe Notre Dame.
Il 29 settembre 1990, divenne parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. Questa sua attività pastorale, come è stato evidenziato dalle inchieste giudiziarie, ha costituito un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui sono state intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia. A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo. Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi, presbitero della Chiesa Palermitana.
“Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno – affermava Padre Puglisi – non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. È soltanto un segno per fornirci altri modelli, soprattutto ai giovani. lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…”.