Robin Williams non aveva intenzione di fallire. Voleva proprio morire. Forse ci ha provato, in un primo momento, tagliandosi le vene dei polsi – un primo esame superficiale del corpo ha riscontrato la presenza di tagli superficiali – poi, non riuscendoci, ha deciso di impiccarsi con una cintura. Ed è così che è morto e che il suo assistente lo ha trovato la mattina dopo, nella sua stanza da letto.
Non la moglie, ma l’assistente personale. Sono molti, infatti, a Hollywood che sussurrano di problemi con la moglie Susan Schneider, una graphic designer conosciuta nel 2009 e sposata due anni dopo in terze nozze. I due dormivano in camere separate, situate ognuna ad un angolo della grande villa di Los Angeles.
Un matrimonio in crisi, uno show cancellato – quello sulla Cbs, “The crazy ones”, chiuso dopo poche puntate – problemi di soldi, forse dovuti ai suoi due precedenti divorzi. “Il divorzio è costoso, ti svuota il cuore attraverso il portafoglio”, aveva detto Williams in una recente intervista.
Insomma, tanti motivi per scivolare inesorabilmente nel baratro della depressione, aggravata anche dai problemi di alcolismo dell’attore premio Oscar. Proprio poco meno di un anno fa, Robin Williams era stato in un centro di riabilitazione per tentare di uscire dal tunnel, ma evidentemente era ormai troppo tardi.
Resta il saluto della moglie, arrivato pochi minuti dopo la notizia della morte di Robin Williams: “Ho perso mio marito e il mio miglior amico”. Cosa passasse veramente nella testa dell’attore probabilmente non lo sapremo mai.