Si chiude con una rottura il tavolo sullo stabilimento Eni di Gela al Ministero dello Sviluppo economico. Secondo quanto si apprende da fonti sindacali, l’azienda ”è rigida sulla chiusura di Gela”, ha respinto la proposta dei sindacati di riavviare gli impianti come condizione per aprire un confronto sulla riconversione.
Sono 790 i posti di lavoro previsti nell’area di Gela dal nuovo piano che l’Eni avrebbe presentato nell’incontro al Mise, secondo fonti sindacali che sottolineano come solo la raffineria impieghi oggi 1.200 persone. Più garantiti i livelli occupazionali dell’indotto perché spetterebbe alle imprese appaltatrici effettuare i lavori di riqualificazione produttiva con la costruzione delle nuove apparecchiature e gli interventi di bonifica. Eni investirebbe in totale 2,25 miliardi di cui 250 milioni per la riconversione dello stabilimento, 200 milioni per la bonifica e 1,8 miliardi per aumentare la produzione del gas in Sicilia fino a coprire il 20% del fabbisogno italiano, per ottimizzare i campi offshore e cercare nuovi campi di gas.
La nuova Eni di Claudio Descalzi punterà su Paesi più sicuri, farà a meno di un pezzetto di Saipem e riorganizzerà la raffinazione, vero e proprio buco nero dei conti che sta emergendo in tutta la sua gravità con la ‘grana’ dell’impianto di Gela. Dovrebbe essere questo, a grandi linee, il cuore dell’aggiornamento del piano strategico che il neo amministratore delegato illustrerà domani nel primo impegno ufficiale davanti agli analisti a Londra, proprio nel giorno in cui verranno diffusi conti del secondo trimestre che si annunciano molto positivi.
A tracciare un quadro abbastanza dettagliato su quello che Descalzi potrebbe dire domani, anche sulla scorta delle considerazioni del mercato, è il Wall Street Journal, secondo cui è forte la pressione perché il gruppo petrolifero punti innanzi tutto su una diversificazione della propria azione allontanandosi dall’Africa, un continente sempre più esposto a turbolenze geopolitiche che provocano interruzioni della produzione. “Eni ha il più alto rischio geopolitico tra tutte le grandi compagnie petrolifere, quindi è probabile che voglia cercare di ridurlo”, ha spiegato al Wsj Peter Oppitzhauser, analista di Kepler Cheuvreax. Ma piatto forte della strategia dovrebbe essere anche la parziale dismissione di Saipem, controllata dell’ingegneria che dopo il bagno di sangue dello scorso anno proprio ieri ha annunciato il ritorno all’utile nel semestre.
Descalzi, però, non potrà fare a meno di affrontare il difficile nodo della raffinazione, settore che vive da anni una situazione di pesante crisi a causa della forte contrazione dei consumi, in particolare di carburanti. Il problema numero uno è in questo momento l’impianto di Gela: al tavolo del ministero dello Sviluppo i sindacati avevano annunciato la rottura con l’azienda, che si sarebbe rifiutata di riavviare gli impianti, la condizione posta per aprire il confronto sulla riconversione. Il ministro Federica Guidi ha poi riavviato il difficile dialogo, su cui pende anche la posizione molto critica del governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che minaccia di interrompere il confronto sui pozzi.
Le organizzazioni sindacali dei chimici dei lavoratori dell’energia e della gomma si sono dati appuntamento, domani, a Roma, per decidere un nuovo programma di lotta con scioperi che interesseranno tutte le fabbriche dell’Eni. Intanto, il Ministero ha riconvocato il tavolo per domani, giovedì 31 luglio, a mezzogiorno. Delusione e rabbia a Gela, dove la notizia della rottura del negoziato ha ulteriormente esasperato gli animi tra i lavoratori che da un mese presidiano il petrolchimico. La polizia ha intensificato la vigilanza e si temono incidenti.