Fare o non fare la riforma del Senato è una decisione che grava interamente sulle spalle del senatore del Pd Corradino Mineo. Almeno secondo la presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, anche lei del Pd.
Mentre pare che il testo sia in dirittura di arrivo, quasi pronto per affrontare il voto dell’Aula di Palazzo Madama, la senatrice siciliana ha dichiarato: “La decisione spetta al gruppo Pd: io mi permetto di osservare che in una commissione in cui c’è un solo voto di scarto tra maggioranza e opposizione, una critica così radicale (qual è quella di Mineo, n.d.r.) non è solo un’espressione di libertà di coscienza, ma pone un’alternativa tra il fare e non fare le riforme”.
“Prosegue l’illustrazione degli emendamenti, proseguono i lavori: direi che siamo a buon punto. Siamo al 90 per cento. Nove decimi, è fatta”, ha detto il senatore della Lega Roberto Calderoli, relatore del ddl costituzionale sulle riforme.
Corradino Mineo, insieme a Vannino Chiti, fa parte di una fronda interna del Partito democratico che non apprezza l’idea dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi di disegnare un Senato sul modello di quello francese e ha proposto un testo alternativo che mantiene invece l’elezione diretta dei senatori.
E anche se Vannino Chiti ha lanciato un appello ai partiti che hanno presentato “migliaia di emendamenti” alle riforme, affinché li ritirino e interrompano l’ostruzionismo, così da permettere un “confronto serio” sulle modalità di elezione del Senato, ha ribadito allo stesso tempo – con un paradosso che ha confuso molti – “la necessità di un Senato eletto dai cittadini che esamini le leggi che non possono essere affidate alla sola maggioranza che si è imposta alla Camera, come per esempio le leggi sulla bioetica”.
Insomma, un processo che sembra ancora irto di ostacoli per il testo sulla riforma della seconda camera, su cui il premier Renzi ha puntato tutto per la credibilità del suo Governo. Ma è fiduciosa il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, “perché – ha detto – siamo vicini all’accordo ma è un work in progress, non siamo ancora giunti alla chiusura, a mio avviso ci riusciremo nei prossimi giorni”. E ha aggiunto che “chiudere l’accordo è un dovere morale: rallentare il processo sarebbe segno del fallimento del governo e anche del Pd sulle riforme”.
E proprio in questi giorni, il Movimento 5 Stelle ha tirato fuori un appunto che in molti avevano annotato nella propria agenda il giorno dell’insediamento di Matteo Renzi. “Renzi aveva dichiarato che il primo voto sulla riforma del Senato sarebbe arrivato entro il 10 giugno, oppure avrebbe lasciato e sarebbe andato a casa. Visto che la controriforma di Palazzo Madama non è stata neppure avviata, Renzi deve fare subito le valigie”, scrive sul suo profilo di Facebook il deputato pentastellato Riccardo Fraccaro, a cui fa eco il leader dei grillini, Beppe Grillo, con un tweet: “Renzi dimettiti”.
10 giugno: #RenzieDimettiti: http://t.co/EdjiKKHNmT
— Beppe Grillo (@beppe_grillo) 10 Giugno 2014