La ”condizione di emarginazione sociale e culturale” di Adam Kabobo, il ghanese che nel maggio 2013 uccise tre passanti a colpi di piccone, è stata ”valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale”.
A scriverlo è il gup nelle motivazioni della sentenza di condanna a 20 anni, secondo il quale la ”condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia” di Kabobo. Uno stress che ha aggravato “la sintomatologia delirante e allucinatoria e la comprensione cognitiva”.
Anche nella perizia, ripresa dal gup, si afferma che il ghanese voleva ”uccidere e con l’occasione farsi catturare per soddisfare i propri bisogni primari”.
All’alba di quell’11 maggio del 2013, Kabobo è uscito da casa e ha ucciso per strade tre persone, e ne ha ferite altre quattro. Lui aveva difeso la sua furia omicida dicendo che aveva sentito delle “voci” che lo aveva spinto a fare quello che ha fatto.
Il 15 aprile il gup di Milano ha condannato il ghanese a vent’anni di carcere, ossia il massimo della pena che poteva essere inflitta, tenendo conto della semi infermità mentale e dello ‘sconto’ previsto per il rito abbreviato. La perizia psichiatrica aveva accertato un vizio parziale di mente: Kabobo soffre di ”schizofrenia paranoide”, ma la sua capacità di intendere al momento dei fatti non era ”totalmente assente” e la sua capacità di volere era sufficientemente ”conservata”.