Mentre il premier Renzi è a Bruxelles per chiedere un cambio di rotta delle politiche dell’Ue, l’Italia si conferma fanalino di coda in Europa in merito alla distribuzione del reddito. Dai dati diffusi nel rapporto annuale dell’Istat, il Belpaese risulta uno dei paesi europei con il maggiore divario in merito ai redditi primari guadagnati dalle famiglie sul mercato, impiegando il lavoro e investendo i risparmi.
Secondo il report “le minori opportunità di occupazione e lo svantaggio retributivo delle donne e dei giovani sono fra le cause più importanti di questa disuguaglianza”. “Nonostante l’intervento pubblico – continua il documento – operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi, in Italia il livello di diseguaglianza rimane significativo anche dopo l’intervento pubblico. Il sistema pubblico italiano redistribuisce il reddito primario soprattutto a favore del 40% delle famiglie con redditi medio-bassi e bassi, che dopo l’intervento pubblico si ritrovano con un reddito disponibile maggiore del reddito di mercato. Vengono invece ridotti i redditi del restante 60% di famiglie, comprese quelle con redditi medi”.
Un dato che segue di pari passo il nuovo minimo storico registrato per le nascite da quasi vent’anni. Nel 2013 si stima che saranno iscritti all’anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno “rispetto al minimo storico registrato nel 1995”. E’ quanto riferisce l’Istat nel Rapporto Annuale. In cinque anni sono arrivate in Italia 64mila ‘cicogne’ in meno.
In particolare cala la spesa per i consumi. Molte famiglie che fino al 2011 avevano utilizzato i risparmi accumulati o avevano risparmiato meno l’anno successivo hanno ridotto i propri livelli di consumo. In Italia l’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie con un solo genitore e figli minori: nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi. Per ridurre in maniera “consistente” il tasso di povertà serve un intervento da 15,5 miliardi di euro, pari all’1% del Pil. Lo sostiene l’Istat, sottolineando che un eventuale intervento fiscale dovrebbe essere fatto attraverso “un’imposta negativa sui redditi familiari più bassi” anziché’ tramite detrazioni.
Anche sul fronte della disoccupazione i dati non sono rassicuranti. Il numero dei disoccupati in Italia è raddoppiato dall’inizio della crisi, evidenzia ancora l’Istat nel rapporto annuale. Nel 2013 i disoccupati hanno sfiorato quota 3 milioni 113mila unità, pari a 1 milione 421mila unità in più rispetto al 2008. La crescita dei disoccupati è proseguita anche nell’ultimo anno: al netto degli effetti stagionali, a marzo 2014 raggiunge quota 3 milioni 248mila unità.
Sono i giovani la categoria più colpita dalla crisi: il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è cresciuto fortemente nel 2013 (+4,5 punti percentuali, toccando il 40%) e l’incidenza della disoccupazione di lunga durata (la quota di disoccupati in cerca di lavoro da più di un anno) è salita al 56,4%. E’ la fotografia scattata dall’Istat nel suo rapporto annuale. La progressiva riduzione dell’occupazione giovanile rispecchia le crescenti difficoltà che incontrano i più giovani nel trovare e mantenere il lavoro. La diminuzione dell’occupazione ha riguardato in particolare i contratti a termine (-6,1%).
Le difficoltà sul mercato del lavoro spingono a cercare nuove opportunità al di là dei confini dell’Italia: nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10mila in più rispetto al 2008. Istat spiega che negli ultimi cinque anni, si è trattato di quasi 100 mila giovani (94mila).
E più di un italiano su 10 (l’11,1%) ha rinunciato alle cure nel 2012 (accertamenti o visite specialistiche non odontoiatriche, interventi chirurgici o acquisto di farmaci), in larga parte a causa della crisi.