“Per favore non chiamatelo più il `Papa buono´. Sono cinquant’anni che combatto contro questa definizione”, ha ribadito il quasi centenario ex segretario di Giovanni XXIII monsignor Loris Capovilla in questi giorni di interviste e interventi in vista della canonizzazione del Papa bergamasco.
Quella di monsignor Capovilla è probabilmente una battaglia destinata a non avere successo. Nell’immaginario collettivo di almeno una generazione Giovanni XXIII è il ‘Papa buono’, il Papa delle carezze, dei sorrisi e delle parole dolci.
Non che gli altri papi fossero meno buoni, ma Roncalli fu percepito diversamente dai fedeli e in generale dal mondo che cominciava ad accalcarsi davanti ai primi televisori e che si innamorò subito di quella figura rotonda e paciosa così lontana da quella austera e ieratica di Pio XII.
Lo aiutò probabilmente anche il clima generale: Giovanni XXIII fu la figura perfetta per i primi anni ’60, un periodo dove si cominciò a parlare di speranza, progresso e futuro. Il primo dopo la guerra e l’ultimo prima delle guerriglie che, dopo il ‘68, incendiarono qua e là l’Europa e il resto del mondo.
Mentre Kennedy tratteggiava la “nuova frontiera”, Papa Roncalli la varcava nella chiesa con il suo personalissimo stile. I quasi cinque anni di un pontificato, che nelle intenzioni di alcuni doveva essere di transizione, avviarono un profondo e radicale cambiamento nella Chiesa cattolica. Un cambiamento di cui l’architrave fu il Concilio Vaticano II, voluto tenacemente da Giovanni XXIII e vissuto da lui con uno straordinario spirito di fiducia: fiducia, o meglio fede, nella Provvidenza che guida la storia e fiducia negli uomini che ne sono protagonisti.
Si potrebbero scrivere, come sono state scritte, pagine e pagine sulla figura e l’opera di Papa Roncalli, ma di certo nella mente dei più continueranno a risuonare il suo discorso alla luna, e si continuerà a pensare alle carezze ai detenuti di Regina Coeli o ai bambini dell’ospedale.
Non è una faccenda per nonnine devote di Papa Giovanni ma un fenomeno più ampio che coinvolse insospettabili come Ignazio Silone e Pier Paolo Pasolini che arrivò a dedicargli i titoli di testa del suo “il Vangelo secondo Matteo”: «alla cara, lieta, familiare figura di Giovanni XXIII».
Il successo e la popolarità di Giovanni XXIII non si spiegano solamente con il tratto umano unico di questo pontefice. Probabilmente oltre il personaggio e la fama di santità c’è per molti il ricordo di una stagione serena, dove nonostante i problemi e i drammi dell’umanità si guardava al futuro con quella speranza che oggi, purtroppo, non è alla portata di tutti.