“Un divorziato che prende la comunione non sta facendo nulla di male”: così Papa Francesco avrebbe detto, per telefono, ad una donna argentina che aveva scritto al Pontefice per esprimere il proprio disagio di divorziata rispetto all’esclusione dalla comunione.
Fin qui nulla di male o di straordinario perché, secondo la dottrina cattolica, l’esclusione dall’eucaristia riguarda solo le persone separate o divorziate che hanno contratto un nuovo legame, che si sono risposate contraendo un matrimonio civile dopo aver celebrato un matrimonio religioso.
Sembra però, almeno secondo quanto sta raccontando la stampa mondiale in queste ore, che il “via libera” alla comunione sia arrivato in favore di una donna divorziata e risposata e a raccontarlo ai media – addirittura – sarebbe stato proprio l’attuale compagno della signora. Se la notizia fosse confermata ci troveremmo davanti non solo alla classica telefonata di Bergoglio ma a un ben più problematico stravolgimento dell’insegnamento della Chiesa cattolica.
Per la Chiesa il divorziato o la divorziata che si risposano non possono accostarsi all’eucaristia perché il matrimonio religioso che i due sposi contraggono manifestando il loro consenso di fronte al sacerdote, rappresenta un legame indissolubile. Nel Vangelo di Marco (10, 2-16) si legge che Gesù, interrogato da alcuni farisei che gli domandavano se fosse lecito a un marito ripudiare la propria moglie, rispose: «Non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito».
Per la Chiesa, l’unico valido continua a essere il primo matrimonio, anche nel caso che esso fallisca. Se l’uomo, o la donna, dopo la separazione si risposano, o stabiliscono un legame stabile con un nuovo partner, non possono ricevere l’assoluzione (a meno di non impegnarsi a vivere nella castità il nuovo legame) e dunque non possono fare la comunione.
L’esclusione dalla comunione eucaristica non è una pena che viene inflitta ai divorziati risposati. Giovanni Paolo II, nella lettera «Familiaris consortio» ha spiegato che il rifiuto dipende da due ragioni. La prima è rappresentata dalla oggettiva condizione in cui si trovano questi fedeli, che «non sono in grazia di Dio». La seconda, è invece di ordine «pastorale», perché se queste persone fossero ammesse alla comunione – spiegava Papa Wojtyla – ne deriverebbe una «confusione» per i fedeli, indotti a credere che la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio sia cambiata.
L’unica via per essere ammessi alla comunione eucaristica, da parte dei divorziati risposati che restano fermi nel loro secondo matrimonio, è l’accertamento della nullità del precedente matrimonio celebrato in chiesa.
Negli ultimi tempi, l’accesso spontaneo dei divorziati risposati alla comunione è diventato una prassi diffusa, tollerata da preti e vescovi: anzi, qua e là incoraggiata e ufficializzata, come nella diocesi tedesca di Friburgo. Il rischio evidente è quello di scaricare tutto sulla coscienza del singolo e di accrescere la distanza tra la visione alta ed esigente del matrimonio, quale appare nei Vangeli, e la vita pratica di numerosi fedeli.
Bisognerà verificare attentamente la notizia della telefonata del Papa perché – se le circostanze fossero confermate – ci troveremmo davanti ad un gesto assolutamente rivoluzionario.