In un contesto di crisi diffusa l’illegalità ha gioco facile. Palermo e provincia mostrano un tasso di attività legali che nascono da denaro di provenienza illecita ancora molto elevato. Le attività legali della mafia oggi contano il 10% del Pil di Palermo.
È un’altro dei dati dell’Osservatorio economico della provincia di Palermo dell’Istituto Tagliacarne e della Camera di commercio. Il territorio, in particolare, evidenzia una “vulnerabilità sociale ed economica che rende la provincia terreno fertile per la criminalità”, la quale, nel territorio, si distingue per l’esercizio “di tipo militare” di “un diffuso e capillare controllo delle attività economiche, politiche e amministrative, sviluppando contiguità con le imprese, le forze dell’ordine, la classe dirigente, i professionisti”.
La rilevazione tra le imprese segnala che il connubio tra mafia e politica, secondo l’86% degli intervistati, ha alterato lo sviluppo del territorio; inoltre, per quattro imprenditori su cinque (80,4%), anche la relazione mafia-imprese ha inquinato le traiettorie di crescita socio-economiche. Questo perché, sempre secondo gli imprenditori, le attività legali ascrivibili alle organizzazioni criminali incidono sul Pil provinciale in misura del 10,8%. Parallelamente, si è chiesto agli stessi imprenditori di stimare il contributo in termini percentuali delle attività illegali alla formazione del Pil provinciale: tale stima si attesta al 9,5%.
I settori maggiormente interessati dalle interferenze mafiose sono quelli delle costruzioni (77,8%) e dei lavori pubblici (65,2%), seguiti più a distanza dal commercio (22,4%). Le pratiche estorsive e usurarie, spesso connesse a atti minatori e vandalici, sono i comportamenti criminosi ritenuti più gravi da oltre due imprese su tre (68,8%); sull’usura in particolare le imprese non tacciono la “potenziale” responsabilità di una pubblica amministrazione che paga in fortissimo ritardo i propri debiti alle imprese. Ragionando sugli effetti della presenza della criminalità organizzata in provincia di Palermo, gli imprenditori affermano che tale fattore aumenta la concorrenza sleale (secondo il 44,8% del campione).
Un imprenditore su tre attribuisce alla criminalità la mancata crescita dell’occupazione (34,6%). Per contrastare l’illegalità, gli imprenditori sottolineano l’importanza dell’approccio “repressivo”, ma anche di quello “preventivo”, ovvero politiche per la coesione sociale, “promozione del senso civico e della cultura della legalità, che mirano soprattutto a sradicare la matrice socioculturale della criminalità”.