Politico, ex senatore del Pdl, quasi fondatore di Forza Italia, adesso latitante: il profilo di Marcello Dell’Utri nasconde ancora di più. Palermitano, 72 anni, collezionista di libri antichi, condannato in primo grado e in appello per i suoi presunti legami con la mafia, latitante da pochi giorni alla vigilia del processo in Cassazione, amico e braccio destro di Silvio Berlusconi sin da quando il Cavaliere era un giovane imprenditore che si affacciava nel mondo degli affari, indicato dalla Suprema Corte come mediatore tra Cosa nostra e l’ex premier, da pochi giorni latitante all’estero, Marcello Dell’Utri è un personaggio chiave del cerchio magico berlusconiano.
Riservato e misterioso, Dell’Utri da venti anni rifugge i riflettori e opera dietro le quinte della grande macchina del partito di Berlusconi: per lui mai un incarico di governo, mai un ministero o un posto da coordinatore, nonostante il suo ruolo decisivo nella nascita di Forza Italia nel 1993. Non che Dell’Utri non sia abituato a comandare. Nella sua carriera professionale è stato numero uno di Publitalia e amministratore delegato di Finivest. Sarà che, come ha confessato in un’intervista mai smentita, a lui della politica attiva “non frega niente” e se si è fatto convincere a diventare deputato è stato solo per fronteggiare le inchieste, per “legittima difesa”: effettivamente il suo ingresso alla Camera risale al 1996, anno in cui parte il primo atto del processo per concorso esterno alla mafia arrivato ora al giudizio della Cassazione.
Di Dell’Utri Berlusconi si è sempre fidato ciecamente: forse solo Fedele Confalonieri può vantare un rapporto ancora più consolidato on il Cavaliere. Fu proprio il fedelissimo Dell’Utri l’uomo che gli organizzò, praticamente dall’oggi al domani, il partito con cui avrebbe vinto le elezioni del 1994. All’epoca numero uno della concessionaria pubblicitaria delle reti Mediaset, fu Dell’Utri a reclutare dentro Publitalia il primo nucleo di “azzurri” : tra gli altri Gianfranco Miccichè, Giancarlo Galan, Enzo Ghigo, Aldo Brancher, Antonio Martusciello, tutti giovani dirigenti alle sue dipendenze. La rete degli agenti di Publitalia, diffusa capillarmente in tutte le regioni, servì perfettamente a diffondere il progetto berlusconiano. Fu sempre Dell’Utri a occuparsi delle candidature per le elezioni del 1994, sottoponendo i futuri candidati a provini davanti a una telecamera per testarne le capacità comunicative. Nasceva, sotto la sua regia, quello che il centrosinistra ha sempre bollato come il “partito-azienda”, un “unicum” nella politica italiana. Il sodalizio con Berlusconi data dai primi anni sessanta, quando Dell’Utri arriva a Milano, giovane siciliano di belle speranze, per studiare Giurisprudenza.
Dopo una decina di anni durante i quali si fa le ossa lavorando in vari istituti bancari in Sicilia, e nel 1974 lo ritroviamo a Milano alla Edilnord, voluto da Berlusconi. Risale a questo periodo l’episodio che più di tutti ha segnato la sua immagine: è proprio Dell’Utri, il sette luglio del 1974, a portare nella villa che Berlusconi ha da poco comprato ad Arcore, il mafioso Vittorio Mangano, che viene assunto come “stalliere”: Dell’Utri si è sempre difeso sostenendo di non aver mai saputo nulla dei rapporti di Mangano con le cosche. Senza misurare troppo le parole, il senatore è arrivato a definire l’ex stalliere di Arcore “un eroe”, perché in carcere “è stato ripetutamente invitato a fare dichiarazioni contro Berlusconi e contro di me ma non lo ha fatto, anche se lo avrebbero scarcerato con lauti premi”. Giudizio che ha scatenato mille polemiche ma che è stato avallato da Silvio Berlusconi: “Ha detto bene Dell’Utri” perché “eroicamente Mangano non inventò niente contro di me”.