Sta tutta in una frase la strategia politica del presidente del consiglio e segretario nazionale del Pd. E la pronuncia nel corso del suo intervento alla direzione del Pd in cui deve trovare la ‘quadra’ su alcuni temi centrali del dibattito parlamentare che – come sempre – trovano all’interno dei Democratici forti resistenze. “Abbiamo portato a casa uno straordinario insieme di risultati che dobbiamo rivendicare sia in termini di partito che di governo” dice Matteo Renzi facendo sentire quel profumo di vittoria elettorale, quando alle elezioni europee mancano ormai meno di 60 giorni e forte degli ultimi sondaggi che registrano un balzo in avanti nelle quotazioni del Pd davanti al Movimento 5 Stelle che supera pure Forza Italia.
Renzi è forte o così vuole far credere ai suoi. E alla platea del Nazareno indica un cronoprogramma preciso indicando innanzitutto la tempistica del dibattito sulle riforme elettorali, dando al contempo un limite massimo al dibattito interno sulle candidature per le europee che saranno decise in due giorni di direzione il 7 e l’8 aprile prossimi. E così Renzi annuncia: “Abbiamo deciso di affrontare la legge elettorale dopo che il Senato avrà affrontato il ddl costituzionale del superamento del Senato e della riforma del Titolo V”. Un disegno di legge che il governo approverà nella riunione del consiglio dei ministri fissata per le tre del pomeriggio.
Sul dl lavoro approdato all’esame della Camera ieri con la scadenza fissata al 4 aprile per il deposito degli emendamenti e al 14 aprile per l’approdo in aula, Renzi è severo come quando ‘impose’ al suo Parlamentino il tema della riforma elettorale: “Sento su questo argomento dei commenti che sembrano ultimatum – dice Renzi attaccando i sindacati – Avevamo delle politiche vidimate dal sindacato, ci dicevano che erano tutte cose bellissime dal mondo sindacale ma siamo passati dal 25 al 42 per cento nella disoccupazione giovanile”.
Poi, rivolto ai suoi compagni di partito: “Sono disponibile, interessato, curioso, desideroso di vedere come il Pd collaborerà sul disegno di legge delega sul lavoro“. Parole, queste, che sembrano ultimative per citare lo stesso premier. Il quale però decide, come annunciato, di fare ‘un passo indietro’ nella gestione diretta del partito affidando a Deborah Serracchiani e a Lorenzo Guerrini l’incarico di vicesegretari. Funzioni e deleghe operative per portare avanti il Pd in ‘assenza’ del segretario-premier.
Sia sul dl lavoro che sulla nomina dei due vicesegretari il più duro è l’ex viceministro Stefano Fassina: “La proposta sul mercato del lavoro è la proposta della destra, la proposta di Sacconi e di Forza Italia. Se mi si dice che per esigenze di compromesso dobbiamo prendere il pacchetto della destra ne discuto. Sono disponibile alla mediazione politica. Ma non sono disponibile alla umiliazione intellettuale”.