Qualcuno si attende il colpo di scena: che questa sera – anche accogliendo l’invito di Matteo Renzi che ha scatenato qualche ilarità fra i giornalisti italiani – varchi i cancelli di villa Taverna, l’ambasciata americana ai Parioli, due passi da Villa Borghese, e vada a cena in un ristorante blasonato di via Veneto. Ma il cerimoniale e i protocolli di sicurezza del presidente americano Barack Obama che ha concluso la sua visita ‘privatissima’ al Colosseo, rende la possibilità difficile se non improbabile.
Di certo c’è che la giornata di Obama in Italia ha segnato alcuni passaggi importanti ed ha restituito – questo sì – un ruolo centrale all’Italia nelle politiche di difesa Onu nel Mediterraneo. Sono alcuni passaggi ufficiali del discorso di Obama pronunciati dal presidente americano alla conferenza stampa di Villa Madama a dimostarlo. Ma la lettura, a voler essere malevoli, potrebbe non essere positiva in senso stretto. Obama arriva in Italia a pochi mesi dalle elezioni di metà mandato che negli Stati Uniti servono per rinnovare il congresso attraverso il voto delle assemblee elettive dei singoli stati. Una tornata di voto che potrebbe significare per Obama perdere la maggioranza al Senato degli States e rendere più complicata la corsa alla successione del presidente afroamericano da parte dei democratici con il rischio di un ritorno di un presidente repubblicano alla guida degli Stati Uniti.
E in tanti osservatori, in questi giorni del tour europeo di Obama, hanno sottolineato l’esigenza di un remake dell’immagine presidenziale alle prese con una crisi economica interna che non ha restituito fiducia alla middle class americana alle prese con gli effetti di lungo periodo della crisi dei mutui subprime.
Non è un caso che Obama abbia sottolineato con enfasi la grande commozione dell’incontro con il Pontefice, Papa Francesco, nel tentativo di conquistare il voto cattolico degli elettori statunitensi.
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Mentre per quel che riguarda il complesso tema dell’interventismo americano negli scenari di crisi internazionale, Obama che è anche premio Nobel per la Pace, deve far fronte ad una crescente disaffezione da parte del popolo statunitense nei confronti delle politiche estere degli Usa che spingono l’esercito ad essere troppo spesso centrale nella gestione delle guerre sui fronti del MedioOriente come dell’est europeo.
Da qui la necessità, anzi l’obbligo, di chiedere all’Europa e ai paesi del vecchio continente di partecipare, più concretamente, nei piani di intervento incentivando nei propri budget le spese dedicate alla Difesa. Così si spiega la sottolineatura della riserva del 3% del Pil americano destinato alle spese militari in un divario insostenibile con quello sostenuto dai paesi Ue che dedicano a queste spese ‘solo’ l’1%.
Per questo Obama valorizza il ruolo dell’Italia e indica nella necessità di una specializzazione da parte delle divise militari degli Stati membri, la tendenza da seguire e incentivare. Un apprezzamento in qualche modo strumentale che mette l’Italia al centro delle politiche nel Mediterraneo e che però non libera il governo nazionale dalla subordinazione in cui è posta rispetto alla presenza Usa in Italia. Anzi su questo Obama è stato chiaro specificando che la presenza americana in Italia non diminuirà lasciando intendere, ad esempio, che sul Muos di Niscemi l’aeronautica americana non intende indietreggiare in alcun modo.
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D’altronde anche la risposta del premier Renzi, a proposito del contenimento dei costi e della revisione dei budget di spesa pubblici, non è suonata come una convinta difesa della scelta di dimezzare il piano di acquisto degli F35. Tema su cui certamente Obama si è intrattenuto con il presidente Napolitano sforando di mezz’ora l’appuntamento successivo con Renzi. Protocollo non violato questa mattina nel turn over di incontri previsto fra il Pontefice e il capo dello Stato.
E non è un caso che con una singolare scelta dialettica, Obama abbia esaltato proprio la figura del presidente ‘comunista’ Giorgio Napolitano: “Ho avuto un incontro con l’amico Napolitano, un grande statista. Fortunati gli italiani ad avere un uomo come lui che li guida”. Quando invece a guidare, amministrativamente, gli italiani è il presidente del consiglio mentre il capo dello Stato è il depositario dell’Unità nazionale. Un errore? Difficile pensarlo.
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