Il suicidio di una ragazzina, la scoperta dei genitori dopo un litigio e un riprovero duro, la disperazione di una famiglia: mentre i carabinieri indagano su quanto è successo a Gela, teatro del suicidio di una tredicenne, ci si interroga su cosa possa essere scattato nella testa della giovane. ”I rimproveri non hanno mai ucciso nessuno”, e ”sarebbe un grave errore colpevolizzare i genitori in modo semplicistico”: a spiegare chiaramente che dev’esserci dell’altro dietro al terribile gesto, è il presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Claudio Mencacci, che invita a valutare con prudenza il caso.
”Vorrei lanciare un messaggio chiaro – afferma Mencacci – decolpevolizzando i genitori, poichè il rimprovero, di per sè, non ha mai ucciso”. In realtà, sottolinea l’esperto, sono ”due le condizioni fondamentali di cui tenere conto” dinanzi ad un episodio come questo, che vede coinvolta una ragazzina: ”Bisogna innanzitutto considerare che l’adolescenza e la preadolescenza sono le età nelle quali l’impulsività è al massimo livello, e ciò ha una spiegazione biologica legata alla mancata maturazione di intere aree cerebrali. Un fase che, per le ragazzine in particolare, si protrae fino ai 20-22 anni”.
Un’età ”delicata”, dunque, in cui l’impulsività ‘biologica’ può giocare un ruolo cruciale anche nella messa in atto di gesti estremi. Ma vi è pure una seconda condizione, spiega Mencacci, da evidenziare: ”Disponiamo di dati certi che ci dicono che circa l’80% dei ragazzi e ragazze che si suicidano, o tentano il suicidio, hanno in realtà dei problemi psichici, dai disturbi di tipo bipolare a quelli di tipo depressivo”. Inoltre, ”il 75% di tutte le patologie psichiatriche compare entro i 24 anni”.
Proprio la prima adolescenza è, dunque, ”la fase della vita in cui possono comparire le prime difficoltà psichiche”. Il problema, avverte lo specialista, ”sta, quindi, nel riuscire a riconoscere subito i segni del disagio, il che non è sempre semplice; fondamentale, poi, anche coinvolgere i medici per arrivare ad una cura precoce del disturbo”. Insomma, il gesto tragico della ragazzina di Gela non può essere considerato, secondo il presidente Sip, come una diretta conseguenza del rimprovero del genitore: ”Compito dei genitori è educare i figli, ed in questo non possono essere condizionati dalla paura del fare un rimprovero se è necessario. Anzi, è proprio l’assenza di un definito ruolo pedagogico dei genitori che in molti casi crea seri problemi nel ragazzo. In un caso drammatico come questo – conclude Mencacci – sono altre le variabili che vanno analizzate’