Alle 19.10, dopo due chiame, al Senato si chiude la votazione sul ddl Delrio che abolisce le province in Italia. Sul provvedimento il governo ha posto la fiducia: il presidente Grasso proclama il risultato: 160 voti a favore su una maggioranza richiesta di 146 voti.
La decisione di porre la fiducia è stata assunta ufficialmente nel corso della riunione del consiglio dei ministri convocata ieri in tarda serata, a sorpresa, per questa mattina alle 8. Una riunione veloce che è servita al premier Renzi – prima di partire per la Calabria dove oggi ha ripreso il tour nelle scuole interrotto per due settimane per gli impegni europei del presidente del consiglio – per blindare la riforma Delrio sulle province. E’ la prima ‘fiducia’ che l’esecutivo guidato dal segretario nazionale del Pd pone ad un provvedimento del governo. Decisione assunta per evitare il peggio: ovvero che le forze della sua stessa coalizione continuino oggi a palazzo Madama la politica dell’ostruzionismo contro il disegno di legge firmato dal sottosegretario alla presidenza che già prima dell’insediamento del suo governo era stato subissato in commissione da migliaia di emendamenti. Soprattutto da parte dei grillini.
Ieri in commissione, il ddl ha visto per la prima volta il governo andare sotto nel voto di due emendamenti. La mano è stata individuata: è stato il voto contrario di una parte del gruppo dei Popolari per l’Italia dell’ex ministro Mario Mauro ad affossare gli emendamenti in aperta e dichiarata protesta contro il mancato abbassamento della soglia del 4% per i partiti che concorreranno alle europee del 25 maggio e che di fatto, come già l’Italicum, mette fuori molte piccole formazioni politiche. Malumori anche in Ncd, il partito del ministro degli Interni, Angelino Alfano che in vista del voto europeo pensa con sempre maggiore insistenza all’aggregazione con l’Udc di Pierferdinando Casini proprio per superare lo sbarramento considerato da molti irraggiungibile, nonostante le dichiarazioni contrarie per imprimere fiducia e non farsi mettere all’angolo dalle grandi formazioni che sicure si presentano alle urne di maggio: Forza Italia, Pd e Movimento 5 Stelle, gli unici che sin d’ora sanno di superare senza alcuna fatica il tetto del 4%.
Malumori anche in Scelta Civica che proprio ieri ha presentato il simbolo del partito per la competizione europea ma che ancora cerca soluzioni forti e autorevoli per le candidature. Il ministro e segretario politico, Stefania Giannini, starebbe studiando una mossa ad effetto per le posizioni di capolista nelle cinque circoscrizioni italiane.
L’unica via d’uscita per salvare il ddl Delrio e soprattutto rispettare i tempi di una riforma costituzionale che entro il 7 aprile possa evitare il ricorso al voto in 73 amministrazioni provinciali per le quali si prevede la proroga dei presidenti – nella veste di commissario – fino al 31 dicembre prossimo, è quindi la fiducia. In ballo, però, Renzi rischia di dovere rivedere alcuni passaggi della legge elettorale, l’Italicum non ancora iscritta all’ordine del giorno dei lavori d’aula del Senato. E su cui c’è da discutere ancora di soglie di sbarramento (al 4,5% per i partiti che corrono da soli) e per le quote rosa su cui però la trasversalità degli interessi dei parlamentari e delle parlamentari sembra meno concentrato sull’obiettivo di quanto non era apparso nel passaggio alla Camera.
Intanto a palazzo Madama la seduta d’aula è ripresa dopo che nella riunione dei capigruppo è stato fissato il calendario dei lavori del pomeriggio: verso le 17 le dichiarazioni di voto, alle 18 è partita la prima chiama per il voto di fiducia. Renzi ha allertato i ministri e i suoi sottosegretari: oggi ci si presenta in aula saltando tutti gli altri impegni. Niente assenti giustificati insomma, come invece è avvenuto ieri quando nella Camera Alta del Parlamento mancavano la senatrice-ministro della Pubblica istruzione, Stefania Giannini, il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova.