301.320 euro e 29 centesimi. Come retribuzione annuale niente male. Almeno per chi – e sono più del 90% degli italiani – sta ben al di sotto di questa soglia. E’ il trattamento annuale che lo Stato riconosce, aggiornato ai dati dell’inflazione del 2012, al primo presidente della corte di Cassazione. Una somma fissata dal precedente governo, guidato da Enrico Letta quando ministro della Funzione pubblica era il siciliano Gianpiero D’Alia.
Quella circolare, la numero 8 del 2012, oggi è stata richiamata dal successore di D’Alia, la ministra Marianna Madia parlando del tetto massimo agli stipendi nella pubblica amministrazione. “Ora – ha detto Madia – è tarato sul primo presidente di Corte di Cassazione. Ho già fatto una circolare dove, tra l’altro, esplicito che in questo tetto, facendo riferimento ad una norma del Governo Letta, debbano essere cumulati anche tutti i trattamenti pensionistici, compresi i vitalizi”.
Una presa di posizione che fa seguito alle polemiche scoppiate lo scorso week end dopo l’annuncio del taglio degli emolumenti ai manager pubblici e soprattutto dopo l’infelice replica dell’ad di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti con un passato da segretario nazionale della Filt Cgil. Moretti ha di fatto annunciato l’abbandono della partecipata statale in caso di diminuzione del suo assegno, scatenando contro di sè un fuoco di risposte non proprio lusinghiere.
Oggi l’ad, nel corso di una conferenza stampa per la presentazione del piano industriale di Fs, tenta di ritornare sull’argomento richiamando allo spirito di “portavoce pro-tempore” dei lavoratori ferrovieri. Ma poi il ricciuto amministratore delegato delle Ferrovie non riesce a trattenere i toni polemici e continua la sua battaglia: “Se c’è una alternativa migliore ben venga. La sfida è valorizzare appieno il capitale investito del Gruppo, che è dello Stato e della collettività”. Ma è nelle dichiarazioni successive che l’ad di Ferrovie sfodera il meglio: “Nel 2006 nessuno voleva fare l’ad di ferrovie, lo si ricordi: farlo è una storia di fatica, non di giochetti per fare mezzo minuto di share”.
Infine manda a dire al premier Renzi: “Aspetto la sua proposta, poi farò le mie valutazioni e vediamo se Renzi sarà capace di convincermi”. Renzi aveva annunciato un taglio del 25% negli stipendi dei top manager italiani. Annuncio che avrebbe già una sua concretezza in un decreto, già pronto, del ministero delle Finanze che si concentra in particolare sulle società controllate dal ministero dell’Economia non quotate e che non emettono strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati.
Si tratta di un decreto ministeriale firmato dall’ex ministro Fabrizio Saccomanni che entrerà in vigore dal primo aprile e riguarderà quindi le prossime nomine. Tre le fasce previste: nella prima, quella dove rientrano le società più importanti come Rai e Anas l’importo massimo sarà di 311mila euro lordi; nella seconda fascia, quella delle società intermedie come il Poligrafico, il tetto sarà di 248.800 euro lordi; nella terza fascia, quella delle società minori tipo Sogesid (tutela del territorio), il tetto scende al 60%, cioè a 186.600 euro lordi.
Per le società quotate, cioè Eni, Enel e Finmeccanica, e per quelle non presenti in Borsa ma che emettono strumenti finanziari quotati, come la Cassa depositi e prestiti, le Ferrovie dello Stato, le Poste, si applicano invece le norme varate dal governo Monti con il decreto Salva Italia come modificate dalla legge 98 del 2013, che prevede un taglio del 25% “del trattamento economico complessivo a qualsiasi titolo determinato, compreso quello per eventuali rapporti di lavoro con la medesima società”.
Ad oggi l’ a.d. dell’Eni Paolo Scaroni guadagna 6,52 milioni lordi, dell Enel Fulvio Conti 3,95 milioni lordi, di Finmeccanica Alessandro Pansa 1,02 milioni lordi, delle Poste Massimo Sarmi 2,2 milioni lordi, del presidente delle stesse Poste, Giovanni Ialongo 903.611 euro lordi, dell’ad della Cassa depositi e prestiti Giovanni Gorno Tempini 1,035 milioni lordi, delle Ferrovie Mauro Moretti 873.666 euro lordi. Cifre ben al di sopra rispetto alle ipotesi del premier Renzi. Certo è che la vigenza dei due regimi andrà regolamentata da governo e ministero.