Nel film “Tutta colpa di Freud” c’è un pezzetto della storia di ognuno di noi. Di volta in volta per lo spettatore sarà facile identificarsi nella vita dello psicanalista cinquantenne Francesco, nelle disavventure amorose della lesbica in crisi “di identità sessuale” Sara, della libraia romantica Marta, della diciottenne esuberante e attratta dagli uomini più vecchi Emma, nella crisi di mezza età di Alessandro e Claudia. Se non fosse che i fili si aggrovigliano a un tratto in modo farsesco, così come nella vita difficilmente potrebbe accadere, il film di Paolo Genovese, scritto con la collaborazione di Leonardo Pieraccioni, sarebbe una sorta di attraente manuale di autoanalisi.
L’ultimo film del regista di “Immaturi”, appena arrivato nelle sale, ha subito conquistato il pubblico italiano ed è stato capace nei primi quattro giorni di programmazione di incassare oltre due milioni di euro. A colpire la platea certamente la regia brillante, la sceneggiatura corposa e allo stesso tempo leggera e mai volgare (nonostante i temi anche sessuali affrontati), la colonna sonora curata da Daniele Silvestri.
Unico difetto: la recitazione stentata di molti attori del cast, sempre un passo indietro rispetto ai colleghi americani. Difetto che, ovviamente, non si appunta sull’attore protagonista Marco Giallini, portentoso nella sua interpretazione dello psicanalista cinquantenne separato, anzi abbandonato, con tre figlie da crescere nel migliore dei modi, mettendo da parte, all’occorrenza, se stesso, oltre che gli insegnamenti di Freud.