Marco La Gala è un giovane regista di Nola, una cittadina situata nel bel mezzo della Terra dei Fuochi, nella Campania martoriata dalla camorra e dalla gestione criminale dello smaltimento dei rifiuti, che si riducono in cumuli fumanti, sparsi per le campagne della provincia tra Casertano e Napoletano.
“Nella Terra dei Fuochi” è anche il titolo del docufilm, realizzato da La Gala, che in breve tempo è diventato un vero e proprio caso, con proiezioni in piazze, scuole, all’interno di cineforum e con una grande eco mediatica sulla rete. Ci ha raccontato cosa sia veramente la Terra dei Fuochi, al di là dei servizi tv e delle mobilitazioni mediatiche.
E’ stato pericoloso girare questo film?
“Non particolarmente, la storia è abbastanza semplice, ho seguito le vicende della cooperativa sociale Ottavia di Marigliano, legata a Libera, che ha deciso di recuperare un campo abbandonato, ripulendolo e riportandolo alla sua funzione iniziale: la produzione di prodotti agricoli puliti. In ogni caso, qui, è inutile avere paura, anche perché, vista la situazione che viviamo siamo già condannati. Almeno, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica, abbiamo una possibilità. Rimanendo fermi, invece, non cambia nulla”.
Ma cosa è questa Terra dei Fuochi?
“Una zona molto complessa, un territorio bellissimo, pieno di storia, gli sversamenti più gravi avvengono soprattutto nella provincia di Napoli e di Caserta. Quindi purtroppo non solo in quella di Napoli, una macroarea che si estende, con continuità dal vesuvio fino alle terre di lavoro. In piccolo mondo con un proprio equilibrio basato su agricoltura, tradizioni e rapporto con la natura, che però è stato devastato a partire dagli anni ’70. Il problema più forte, al contrario di quanto si possa pensare, non è a Napoli, ma nella provincia, è lì che vengono sversati i rifiuti, che non sono quelli solidi urbani, ma anche quelli tossici, industriali, gli scarti di fabbrica. Così ci ammaliamo per quello che mangiamo, anche se si sta generalizzando troppo. Sta passando il messaggio che tutto è inquinato, che tutti i prodotti siano avvelenati, ma non tutto è così, altrimenti saremo tutti morti”.
E come si è arrivati a questa situazione?
“Sta venendo meno la funziona del contadino, fondamentale perché è l’ultima sentinella del territorio. Quando un contadino non riesce più a vivere con la vendita dei suoi prodotti, poco a poco abbandona il campo. Dagli anni ’80 in poi è cominciato il fenomeno dell’abbandono dei campi – come in altre parti del mondo occidentale – ma dagli anni ’90 in poi, in seguito alle prime indagini sugli sversamenti tossici, in Campania il fenomeno d’abbandono dei campi è aumentato perché sempre più persone non volevano acquistare prodotti agricoli locali. Così gli agricoltori lasciano le terre e i clan della zona, che prendono in gestione lo smaltimento dei rifiuti speciali, li trasportano in campagna. Smaltiscono di tutto, specie rifiuti tessili, alimentati dalla grande industria tessile in nero, che quindi non può smaltire legalmente, e iniziano a bruciare per liberare spazio per i prossimi sversamenti”.
Il tuo film è comunque riuscito molto nell’opera di sensibilizzazione
“Quando cinque anni fa ho cominciato ad occuparmi della questione ambientale in Campania eravamo pochi a trattare l’argomento. Oggi invece c’è molta più attenzione e sensibilità sul tema ed infatti io non mi aspettavo di avere 150 persone alla prima proiezione e di essere chiamato da associazioni locali e comuni per proiettare il film. Purtroppo però c’è ancora un po’ di confusione, molti chiedono le bonifiche, ignorando che per quello scaricato e per come è stato fatto, in alcune come ad esempio il Resit Giugliano o la masseria Monti a Maddaloni, è impossibile bonificare. C’è di tutto, mercurio, cromo, solventi chimici, sostanze che entrate in contatto tra di loro creano composti che quasi sicuramente non abbiamo tecnologie per bonificare almeno prima di 80 anni”.
Quale potrebbe essere una soluzione per questa piaga che affligge le vostre terre?
“Il problema è che non c’è controllo, le forze dell’ordine non riescono a presidiare adeguatamente il territorio. C’è bisogno di ripristinare legalità, di ridimensionare il potenziale economico delle ecomafie. Bisogna trovare un modo per togliere ai clan la gestione del ciclo dei rifiuti”.
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