Il campionato italiano e il razzismo. Questo è un binomio che si sta affermando nell’opinione comune europea. Come quando ti dicono blu e tu pensi al mare, verde e pensi ai prati, quando in Europa parlano del calcio italiano, la frase che segue è sempre legata al fenomeno razzista.
Italiano? Pasta, pizza, mafia. E adesso dobbiamo aggiungere anche razzista. Che poi negli ultimi anni, l’Italia ha sempre sofferto del suo declino nei ranking Fifa senza preoccuparsi che un’altra classifica stava per essere scalata, ovvero quella dei campionati più razzisti d’Europa, dove la nostra nazione appare come testa di serie.
Dall’inizio dell’anno sono tredici le curve ad essere state squalificate per casi di discriminazione razziale e territoriale. Qui, proprio in Italia, il paese che in base ai dati registrati dal Cies (Centro Internazionale Studi sullo Sport) è al quinto posto per l’impiego di calciatori stranieri con una quota che supera di poco il 55 per cento. E dove il razzismo, la xenofobia e le discriminazioni territoriali vengono regolate da un bagaglio di normative molto ampio.
E se è vero quel che dice Platini (“il calcio riflette la società nella quale prospera”) siamo messi davvero male. Almeno rispetto alle concorrenti (Germania, Francia, Olanda, Spagna, Inghilterra) che, invece, di casi di razzismo non ne hanno registrati. Anzi, sono stati seduti ad ascoltare il caso di Boateng che “è andato via dall’Italia per colpa del razzismo”, di Balotelli, bersaglio preferito dalle curve e alle volte anche dai calciatori, specie dai difensori (vedi Spolli in Catania-Milan 1-3), di Pogba che ora segna e piace a tutti, ma che prima di tutto questo contava i “buu” razzisti e gli ululati con il pallottoliere.
Forse queste cose ci sono sempre state e si sta esagerando, e magari fa bene chi come Ogbonna o Agnelli riduce il fenomeno ad un mucchio di “ignoranti” tifosi avversari che ti pizzicano per paura e non per discriminarti. È un dato di fatto che da un po’ di tempo anche nelle serie inferiori qualcosa è cambiato: chiedetelo ad Ameth Fall, ventiduenne attaccante senegalese che in Monza-Rimini si è visto lanciare delle banane; al ghanese Tarik Frimpong Boateng del Pompiano che nella gara del girone C di Terza Categoria della Lombardia contro il Capriano venne attaccato verbalmente con insulti razzisti da un avversario.
Dal grande giocatore al giovane che vuole emularlo in tutto e per tutto. Ripercorrendo le cassanate, le balotellate e le zidanenate. E perché no, anche il modello di ultrà sbagliato per i giovani tifosi che amano il calcio. Come tutti quei bambini che hanno aderito in massa all’iniziativa della Juventus che ha aperto agli under 13 la sua curva squalificata.
C’era tutto, non mancava nulla: cartelloni colorati, striscioni, bandiere e anche i puntuali cori “…rda!” durante i rinvii del portiere avversario (Brkic, ndr). Il tutto fa pensare che il calcio, l’intero ambiente del mondo del pallone stia andando verso una direzione. Speriamo solo che accanto al Made in Italy delle fettuccine, la scritta “razzista” sia stata impressa con un pennarello delebile, in modo tale che venga più facile cancellarlo. Con la parola “mafiosi” ci provano da anni.