Rapiti, derubati, torturati e messi in mare | Il racconto dei sopravvissuti al naufragio

di Gabriele Ruggieri

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Rapiti, derubati, torturati e messi in mare | Il racconto dei sopravvissuti al naufragio

| venerdì 08 Novembre 2013 - 13:38

L’arresto di Mouhamud Elmi Muhudin, il giovane somalo accusato di essere uno degli organizzatori del viaggio della speranza culminato con il naufragio del 3 ottobre, rappresenta un grosso successo per le forze di polizia, ma non solo. L’individuazione e l’incarcerazione di un probabile elemento di spicco all’interno di una vera e propria organizzazione internazionale specializzata nella tratta dei migranti, ha consentito, infatti, agli uomini della polizia di Stato, di portare alla luce particolari sconvolgenti in merito all’organizzazione e ai trattamenti di inaudita brutalità a cui sono sottoposti i migranti prima di poter intraprendere un viaggio come quello che è costato la vita a 366 disperati eritrei.

Rapiti nel deserto, deportati in una sorta di centro di raccolta che non si fa troppa fatica a chiamare campo di concentramento, a Shabab, in Libia, maltrattati e abusati, mentre dei complici dell’organizzazione, di stanza in Eritrea, si premuravano a contattare le famiglie dei malcapitati per estorcere loro la somma di 3500 dollari per persona. “Siamo stati torturati con vari mezzi come mazze e scariche elettriche sulle piante dei piedi” e ancora “Dopo averci buttato dell’acqua addosso con dei secchi e aver allagato la stanza, mettevano a terra dei fili elettrici per darci delle scariche” legge dai verbali degli interrogatori dei superstiti del naufragio il procuratore aggiunto Maurizio Scalia nel corso della conferenza stampa. Torture così terribili che nessuno degli eritrei sentiti dalla polizia si è tirato indietro nel raccontare quanto accaduto e nell’additare Muhudin, aggredito dai naufraghi al momento del suo sbarco a Lampedusa, il 25 ottobre scorso, come uno dei membri cardine dell’organizzazione.

Un’organizzazione spietata, dunque, capillare, formata da decine e decine di persone dislocate in più stati, anche in Italia. Il primo passaggio avveniva nel deserto tra il Sudan e la Libia, in quella che Enzo Nicolì, direttore della II divisione dello Sco – Servizio centrale operativo – della polizia, definisce “frontiera criminale”. Uomini a bordo di pick-up, armati di mitragliatrici, rapivano, derubavano e deportavano i disperati. Ancora peggiore il destino che attendeva le donne, stuprate sistematicamente e poi, una volta giunte in libia, “donate” all’occorrenza ai miliziani libici, descritti dai sopravvissuti come uomini appartenenti a gruppi paramilitari armati di kalasnikov. Una volta pagato il “debito” di 3500 dollari, venivano allestite le imbarcazioni. Una volta giunti in Italia, i profughi venivano raggruppati e smistati in giro per l’Europa, dall’ultima appendice dell’organizzazione.

Adesso resta solo da chiarire la posizione di Muhudin e cosa ci facesse a Lampedusa. “Dobbiamo capire – continua Nicolì – se il somalo, sbarcato sull’isola il 25 ottobre, fosse arrivato in Italia a causa di contrasti con l’organizzazione o se l’avesse fatto per cercare contatti con strutture che operano nel nostro Paese per la facilitazione dello spostamento dei migranti all’estero”.

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