Rapite, stuprate, concesse in dono, uccise. Se il destino dei migranti è terribile, ancor peggiore è quello delle donne che intraprendono i viaggi della speranza, che, troppo spesso, si trasformano in viaggi dell’orrore. Dal racconto di alcuni superstiti del naufragio del tre ottobre scorso, spiccano le vicende delle ragazze che, come loro, si trovavano su quell’imbarcazione, inabissatasi al largo dell’Isola dei Conigli. “Nel gruppo degli eritrei, rapiti nel deserto al confine tra Sudan e Libia – racconta il sostituto procuratore Maurizio Scalia – c’erano venti ragazze, di cui una sola è sopravvissuta al naufragio. Tutte sono state violentate e offerte in dono ai miliziani libici, dei paramilitari armati di kalasnikov”.
“I migranti, in particolare, – continua Scalia – hanno raccontato di due ragazze che, portate via per essere stuprate, hanno tentato di darsi alla fuga. Una di queste, secondo gli eritrei, non sarebbero mai rientrate, mentre l’altra è annegata nel naufragio”. Sono elementi terribili quelli emersi dopo l’arresto di Mouhamud Elmi Muhudin, somalo, accusato di essere uomo di vertice nell’organizzazione criminale che ha gestito l’infelice traversata. Elementi che parlano di un orrore nell’orrore, di una prassi, che coinvolge molte donne, molto spesso sottaciuta, che dipinge quanto deve essere grande la disperazione di un popolo che si mette in viaggio, consapevole dei rischi disseminati lungo il cammino, e che, una volta in Europa, tenta di lasciarsi alle spalle ogni orrore, non sempre riuscendoci.