È cambiata la legislazione sui lavoratori a progetto. È cambiata e si sta muovendo in direzione di maggiori garanzie per i Lap. Inoltre, è stato siglato ad agosto un contratto collettivo specifico per i collaboratori a progetto dei call center che svolgono attività in outbound. A Palermo, però, al call center Almaviva qualcosa nell’applicazione di queste nuove regole non convince. C’è chi crede che dietro si nasconda un modo per avvantaggiare l’azienda ai danni dei lavoratori.
Il caso viene sollevato in seguito al mancato rinnovo contrattuale di circa novanta lavoratori a progetto della commessa Tim, gestita nella sede di via Cordova, ex Alicos. “Il volume delle chiamate si è ridotto”, si sono sentiti dire i lavoratori per giustificare la fine del rapporto di lavoro. Il problema è che, in un secondo momento, l’azienda ha chiesto a questi stessi lavoratori a progetto, come a tutti gli altri, di firmare un verbale di conciliazione che avrebbe dovuto adeguare le condizioni contrattuali dei Lap al nuovo contratto nazionale. “L’applicazione dell’accordo, però – spiega Rosalba Vella, Rsu Cgil – è stata un po’ distorta. Così, come sindacati, abbiamo chiesto all’azienda di ritirare questa proposta per ricontrattarla e soprattutto per dare modo a noi di valutarla prima di sottoporla ai Lap”.
“Non solo – aggiunge Adriana Cangemi, uno dei Lap a cui il 30 settembre non è stato rinnovato il contratto su Tim – anche l’ispettore del lavoro ci ha detto di non firmare quella conciliazione perché in pratica avremmo dichiarato il falso, sperando soltanto di poter tornare a lavorare”. “Firmando il documento – spiega Adriana – avremmo affermato di non avere fasce orarie, mentre noi lavoriamo su turni; di non avere coordinatori, mentre noi abbiamo delle figure di riferimento per l’organizzazione del lavoro. Insomma, molti di noi lavorano lì da anni, passando di contratto in contratto, e siamo perfettamente assimilabili ai dipendenti. Nella conciliazione, per esempio, ci veniva chiesto pure di rinunciare alla eventuale pretesa di essere assunti a tempo indeterminato, anche facendo causa all’azienda”.
Il problema – la rabbia – nasce, dunque, quando il nuovo contratto per il lavoro a progetto nelle telecomunicazioni viene proposto anche ai “vecchi” Lap, a quei lavoratori che ormai, appunto, per via degli anni passati in azienda, sono equiparabili a dei dipendenti a tempo indeterminato e che, nonostante le nuove garanzie previste dall’accordo del 1 agosto scorso, farebbero, con la firma di questo nuovo contratto un passo indietro.
“Come azienda – fanno sapere da Almaviva – ci stiamo scrupolosamente attenendo alle disposizioni di legge e agli accordi sindacali in vigore a livello nazionale. La procedura che l’azienda sta seguendo è quella prevista dagli accordi di categoria sottoscritti da tutte le principali sigle sindacali di settore. Accordi previsti e richiesti nel decreto sviluppo dell’agosto 2012. Inoltre, l’azienda rinnova i contratti in funzione dei volumi di attività che i nostri committenti ci pianificano nei mesi. A tal proposito il nuovo accordo sindacale sui lavoratori a progetto fra le varie cose introduce l’obbligo da parte dell’azienda di inserire all’interno di una lista di prelazione i lavoratori che hanno prestato servizio negli ultimi mesi. Qualora sia necessario inserire nuovi lavoratori a progetto questi dovranno essere individuati all’interno di questa lista. Non è sicuramente una novità di poco conto”.
Ma ai lavoratori a progetto “di vecchia data” questa promessa probabilmente non basterà. E così via alle contrattazioni tra lavoratori, sindacati e azienda, in un momento tra l’altro particolarmente delicato: la campagna elettorale per il rinnovo delle Rappresentanza sindacali unitarie dell’azienda. Il modo in cui verrà combattuta questa battaglia e i risultati ottenuti influiranno certamente non poco sul risultato delle urne. “Il pericolo infatti – dicono alcuni rappresentanti sindacali di Almaviva – è che si facciano promesse ai Lap che non possono essere mantenute: non potranno essere assunti, specialmente in questo momento in cui molti dei dipendenti sono in contratto di solidarietà. Non è corretto, dunque, fomentare gli animi”.
(Foto d’archivio)